Sulla Crimea Zelensky non fa passi indietro

Micol Flammini

Il presidente ucraino si augura una soluzione politica, parla di pressione e non di cedere. La strategia di Kyiv è arrivare ai confini amministrativi della penisola e poi demilitarizzarla: offre una via d'uscita per evitare le perdite 

Le alleanze si fanno e si disfano, è questione di stanchezza, di cicli elettorali, anche di rapporti umani e soprattutto di agenda. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, lo sa e lo ha detto durante una lunga intervista con la giornalista  Natalia Moseychuk, suggerendo che gli ucraini sono pragmatici, conoscono cosa si può fare, cosa no, quanto si può chiedere agli alleati. Per esempio, dice il presidente, una guerra sul territorio russo sarebbe una brutta scelta, “un grande rischio” che isolerebbe Kyiv. Zelensky sa fino a dove può spingersi e alla domanda della giornalista su come vede il futuro della Crimea, il presidente ucraino risponde che quando il suo esercito sarà arrivato alle porte della penisola, quando avrà completato la liberazione dei territori occupati a sud, lungo le traiettorie della controffensiva, allora sarà preferibile una soluzione politica. Zelensky non parla di negoziati, parla di speranze. “Credo che sia possibile raggiungere la demilitarizzazione della Crimea dalla Russia attraverso una pressione politica. Sarebbe meglio. Qualsiasi combattimento cagionerebbe perdite. Tutto deve essere calcolato”. Nessuna marcia indietro, piuttosto un messaggio per Mosca. Il presidente ucraino non dice che per lui la Crimea può essere inserita in un negoziato o che è sacrificabile. Zelensky si augura  che  quando  il suo esercito sarà arrivato al confine amministrativo della penisola, non sarà necessario andare oltre, perché la pressione politica sarà sufficiente a far capire ai russi che qualsiasi soluzione militare sarebbe un disastro.

 

Non ha intenzione di cedere sulla Crimea e che  la linea di Kyiv non è cambiata e l’intenzione è quella di combattere per riavere i confini legittimi dello stato lo dimostra  la frase successiva:  dopo aver parlato di “pressione politica”, Zelensky ha menzionato il capo dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov, che ha promesso di liberare la Crimea con il suo solito sorriso che avverte e rivela. L’Ucraina ha piani ambiziosi, difficili, complessi, ma non illusori. Sa fino a dove può spingersi e il presidente ucraino, che in passato ha detto di non essere disposto a negoziare con Vladimir Putin, spera che ci sarà un punto, in questa guerra, in cui l’aggressore capirà che avrà bisogno di una soluzione politica. Non ci sono isterie, piani infondati, l’Ucraina deve fare i conti con il tempo, con gli alleati, con le sue forze. Zelensky dice che Kyiv lavora sulla produzione interna di armi, ma sa bene che sono gli alleati ad assicurare i rifornimenti: per quanto Kyiv sia diventata abile nelle produzioni autoctone, non è sufficiente. Anche sui rapporti con gli alleati il presidente è prudente e dice che con gli Stati Uniti è possibile immaginare una soluzione sul modello israeliano: armi, tecnologie, addestramento, aiuti finanziari, ecco le garanzie di sicurezza che Kyiv immagina. Esclude ogni forma di intervento delle truppe degli alleati in Ucraina, anche nel caso di un invito a entrare nell’Alleanza atlantica, che Kyiv ancora si aspetta. “Non abbiamo bisogno di loro – delle truppe della Nato –  diventerebbe una Terza guerra mondiale”. 

 

La parola “negoziato” è uscita dal vocabolario di Kyiv quando sono state scoperte le vittime di Bucha, il massacro perpetrato a marzo del 2022 quando nella città fuori Kyiv che era stata sotto l’occupazione russa vennero scoperte le torture, gli stupri, le uccisioni sommarie: i crimini di guerra. Prima c’erano dei colloqui tra ucraini e russi, delegazioni che si incontravano, poi tutto è cambiato. L’Ucraina vuole riconquistare tutti i suoi territori, quelli che pure la Russia riconosceva come tali prima del 2014, e ciò  che spera, si augura Zelensky è che arriverà un momento nella guerra, in questa controffensiva  in cui i russi hanno imparato a difendersi e gli ucraini stanno attenti a calibrare le perdite, in cui Mosca capirà che le conviene usare la politica, portare via le basi militari con cui ha occupato la Crimea, e tornare indietro. Zelensky, in caso di successo dell’esercito ucraino, offre una via d’uscita.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)