in Africa
Il colpo di stato in Gabon non è come quello in Niger
Al netto di alcuni punti in comune, come la presenza francese sul territorio e l'intervento dei militari, tra i due paesi ci sono differenze. Dall'appartenenza all'Ecowas ai risultati elettorali, fino alla religione e al rischio di infiltrazioni jihadiste o della brigata Wagner
Quello in Gabon è l’ottavo colpo di stato in Africa occidentale e centrale dal 2020: dopo, nell’ordine, il Mali il 18-19 agosto 2020 e di nuovo il 24 maggio 2021; il Ciad il 20 aprile 2021; la Guinea il 5 settembre 2021; il Sudan il 25 ottobre 2021; il Burkina Faso il 30 settembre 2022; il Niger il 26-28 luglio. Tutti paesi francofoni, a parte il Sudan, e su molti punti quel che è avvenuto ora a Libreville evoca quanto era successo un mese fa a Niamey. In entrambi i casi, c’è un ruolo forte di Parigi: ex potenza coloniale che ha 1.500 soldati in Niger e 400 in Gabon, e forti interessi minerari in entrambi i paesi, in un caso con l’uranio e nell’altro con il petrolio.
L’ambasciatore francese a Niamey è ora barricato in ambasciata contro l’ordine di espulsione dei golpisti; a giugno Emmanuel Macron a Parigi si era fotografato mentre stringeva la mano ad Ali Bongo, che ha una moglie francese. In entrambi i casi, è stato rovesciato un presidente democraticamente eletto. In entrambi i casi, c’è stato un ruolo chiave della Guardia presidenziale, e il generale Brice Oligui Nguema è designato presidente a interim a Libreville come Abdourahamane Tchiani a Niamey. In entrambi i casi ci sono in strada folle che esultano. In entrambi i casi i presidenti deposti e in arresto fanno filtrare appelli agli “amici” a “fare rumore”, secondo l’espressione usata da Bongo.
Il Gabon, però, non fa parte della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale, l’Ecowas, la cui leadership è disposta a intervenire militarmente contro i golpisti – e lo ha già fatto in passato. Mentre poi il socialdemocratico Mohamed Bazoum il 21 febbraio 2021 era stato eletto in Niger con un 55,67 per cento relativamente “pulito”, Bongo al voto di sabato aveva ottenuto un 64,27 per cento duramente contestato dalle opposizioni, e tra lui e suo padre la dinastia dei Bongo è al potere da 56 anni. Insomma, mentre Tchiani in Niger sembra essersi mosso soprattutto per prevenire una destituzione, nel caso di Brice Oligui Nguema in Gabon la volontà di “porre fine a un regime” potrebbe avere un riscontro nella realtà.
Altra differenza: mentre il Niger è in un’area fortemente a rischio di infiltrazioni jihadiste dove la Wagner e la Russia hanno trovato occasione di penetrare, il Gabon è un paese al 75 per cento cristiano, dove al 5 per cento di minoranza islamica appartengono invece proprio i Bongo. Non per origine ma per decisione presa dal padre nel 1973, quando cambiò il suo nome da Albert-Bernard a Omar, e quello del figlio allora 14enne Alain-Bernard in Ali. Sembra per suggestione dei partner arabi dell’Opec, di cui il Gabon è membro con una produzione di 181.000 barili di greggio al giorno, che lo rende l’ottavo produttore di petrolio dell’Africa sub-sahariana. Con poco più di 2 milioni di abitanti significa il settimo reddito pro capite dell’Africa, anche se la distribuzione è ineguale e i Bongo sono accusati di cleptocrazia. C’è anche di diverso che mentre in Niger si parla di mantenere il governo militare per almeno tre anni, in Gabon si fa intendere la possibilità di una transizione rapida. Tra i manifestanti per ora non si sono viste bandiere russe.
Dalle piazze ai palazzi