l'analisi
Le ragioni del continuo declino del rublo
Deprezzamento della valuta, carenza di manodopera e pressione inflazionistica. Le sanzioni occidentali stanno facendo deteriorare la bilancia commerciale e l’economia russa è più fragile
Il rublo continua a deprezzarsi. Ieri il tasso di cambio rispetto all’euro è sceso a 105 rubli (96 ne servono, invece, per comprare un dollaro), per la prima volta dal 16 agosto. Il giorno precedente, il 15 agosto, il consiglio di amministrazione della Banca centrale russa era stato convocato per una riunione straordinaria per aumentare il tasso chiave d’interesse di 3,5 punti, dall’8,5% al 12%. La valuta russa era in caduta libera, aveva fatto registrare dall’inizio dell’anno una delle peggiori performance dei mercati emergenti (insieme alla lira turca e il peso argentino), dimezzando il proprio valore rispetto al picco di giugno 2022 e arrivando a superare la soglia simbolica e psicologica del cambio di 100 a 1 con il dollaro.
Il Cremlino aveva immediatamente messo nel mirino la governatrice della banca centrale Elvira Nabiullina, che finora ha avuto un ruolo determinante nel tenere in piedi l’economia russa ipersanzionata. Il consigliere economico di Vladimir Putin, Maxim Oreshkin, in un articolo sull’agenzia di stampa statale Tass attaccò Nabiullina dicendo che la svalutazione del rublo era colpa della sua politica monetaria: “La Banca centrale ha tutti gli strumenti necessari per normalizzare la situazione”. Il suggerimento era stato immediatamente accolto dalla Banca centrale. Dopo la riunione d’emergenza e il rialzo dei tassi, il rublo si è subito rafforzato raggiungendo quota 92 con il dollaro, per la soddisfazione di Vladimir Putin, per poi tornare a declinare inesorabilmente.
Le sanzioni occidentali, che dal 2023 hanno cominciato a colpire le esportazioni petrolifere, hanno iniziato a mordere. A differenza del 2022, quando i prezzi dell’energia erano alle stelle e le sanzioni riguardavano soprattutto le importazioni, ora lo scenario si è ribaltato. Il rublo si sta indebolendo principalmente per il deterioramento della bilancia commerciale: le esportazioni si stanno riducendo e le importazioni stanno crescendo.
Il crollo dell’export è, come noto, dovuto alla forte riduzione dei prezzi dell’energia, sia per il trend internazionale sia per effetto delle sanzioni. Da un lato il petrolio russo, per effetto del price cap, viene venduto a sconto rispetto al Brent; dall’altro, almeno per quanto riguarda il gas, si sono ridotti anche i volumi venduti all’estero. Gazprom, per effetto della chiusura del mercato europeo, il principale per il colosso del gas russo, ha visto crollare nel primo semestre del 2023 l’utile netto a 2,8 miliardi di euro (il livello più basso dai tempi del Covid), rispetto agli oltre 41 miliardi dello stesso periodo del 2022. In linea generale, nel primo semestre del 2023 le entrate fiscali della Russia da gas e petrolio si sono dimezzate rispetto all’anno precedente. Dall’altro lato, invece, sono aumentate le importazioni. In parte perché progressivamente vengono trovate strade alternative, attraverso triangolazioni con paesi vicini, per aggirare le sanzioni sull’import. In parte perché il governo ha iniettato un notevole stimolo fiscale per sostenere l’economia di guerra. Tutto questo ha peggiorato la bilancia commerciale e indebolito la valuta.
Ma un’altra ragione che spinge il rublo al ribasso è dovuta alle sanzioni valutarie, che impedisce al Cremlino di fare transazioni in dollari. L’ex ministro dell’Economia russo Mikhail Zadornov ha ad esempio sollevato il problema delle “rupie congelate”. L’India, dopo la selva di sanzioni occidentali, è diventata il principale acquirente di petrolio e prodotti petroliferi dalla Russia: circa 30 miliardi di dollari nella sola prima metà dell’anno, rispetto a un trend storico di 6-7 miliardi. Ma non potendo ricevere dollari, la Russia ha accumulato miliardi e miliardi di rupie nelle banche indiane che non possono essere convertite o rimpatriate per diverse restrizioni che Mosca non riesce a risolvere con New Delhi.
Un’altra pressione inflazionistica sull’economia russa arriva dal mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione è ai minimi storici, ma dall’altro lato si registra una sempre più forte carenza di manodopera soprattutto nel settore manifatturiero. Le ragioni hanno ovviamente a che fare con la guerra in Ucraina: da un lato la mobilitazione che ha mandato al fronte centinaia di migliaia di giovani in età da lavoro, dall’altro le varie ondate di emigrazione a seguito della guerra, della seconda mobilitazione e degli attacchi ucraini sulle città russe. Questi due fattori hanno amplificato i problemi demografici che già aveva la Russia. E, contemporaneamente, la domanda di lavoro è aumentata notevolmente per effetto di un’economia di guerra stimolata artificialmente dalla crescita delle spese militari.
La scarsità di manodopera a sua volta aggrava i due problemi dell’economia russa, che sono l’inflazione e il deprezzamento del rublo. Perché fa crescere i salari più velocemente della produzione, cosa che spinge la domanda interna, a fronte appunto di una produzione che non tiene il passo facendo da un lato aumentare i prezzi e dall’altro indebolire il rublo attraverso una maggiore domanda di importazioni.
In questo contesto, i paesi occidentali dovrebbero concentrarsi di più sulle sanzioni, stringendo le maglie che ad esempio consentono alla Russia di aggirare il price cap sul petrolio. Perché un’ulteriore stretta sull’export russo indebolirebbe ulteriormente il rublo e amplierebbe il crescente deficit fiscale russo, costringendo il Cremlino a correggere il bilancio, attraverso tagli di spesa e aumenti di tasse, oppure a lasciar correre l’inflazione.