patti poco chiari

Le richieste-minaccia di Putin per tornare nell'accordo sul grano

Micol Flammini

Erdogan va a Sochi, parla di scambi commerciali, di energia e torna con una lunga lista di condizioni russe per rientrare nella Black sea grain initiative che consente il trasporto in sicurezza dei cereali nel Mar Nero. Ecco perché per Ankara il patto è importante

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è arrivato a Sochi, in una delle residenze del capo del Cremlino, Vladimir Putin, spinto dai titoli ottimistici della stampa turca convinta  che gli occhi del mondo fossero puntati sull’incontro tra i due capi di stato per ravvivare la Black sea grain initiative, gli accordi sul grano che Mosca a luglio non ha voluto rinnovare, rendendo il trasporto dei cereali nel Mar Nero difficile e pericoloso. I giornali russi, molto più freddi, dicevano che non c’è nessuna certezza che gli accordi sul grano tornino a funzionare. I due presidenti si sono incontrati sulle rive del Mar Nero bersagliato dai missili russi, e tanta vicinanza alle acque di guerra era sembrata un segnale, ma Putin gestisce spesso le sue visite dalle sponde del Mar Nero, soprattutto con leader internazionali. La sua attenzione per la sicurezza ha escluso anche il piano iniziale che prevedeva una sua visita ad Ankara,  il mandato di arresto internazionale sta limitando i suoi spostamenti e per ora sono previste soltanto delle sue visite in autunno, tra Kazakistan e Cina. Avevano ragione i giornali russi, la visita di Erdogan non è bastata – o non è servita – a ravvivare l’accordo sul grano. Putin ha presentato al leader turco una lista di concessioni che vuole per continuare a rispettare la navigazione nel Mar Nero e probabilmente Erdogan si porterà la lista fino al prossimo incontro del G20 che sarà questa settimana. Il prezzo che la Russia chiede per far ripartire l’accordo è alto: inclusione della Banca russa dell’agricoltura nel sistema Swift (era stata esclusa proprio per l’invasione); riparazione della conduttura per l’ammoniaca che parte da Togliatti e arriva a Odessa e viene utilizzata per esportare fertilizzanti; agevolare le assicurazioni delle navi russe. Nelle dichiarazioni dopo l’incontro, Putin ha detto che soltanto a queste condizioni si potrà tornare a parlare di accordi per il grano. Erdogan ha ascoltato le sue parole anche sulla controffensiva di Kyiv che Putin ha definito “un fallimento” e poi ha detto che ha pronto un nuovo pacchetto di proposte e se ne è andato sorridendo, con cautela. La Turchia tiene molto a questo accordo per vari motivi: acquista una quantità molto significativa di grano ucraino; ha interesse nel mantenere bassi i prezzi dei prodotti alimentari per non esacerbare le condizioni economiche già difficili del suo paese e infine vuole irrobustire la reputazione internazionale di Ankara ottenendo un accordo che è fondamentale per tutto il mondo. 

 

Per alcuni mesi l’accordo del grano è stato la via da indagare per una collaborazione da condurre   campo dopo campo, per  una pressione internazionale che sembrava in grado di vincolare le azioni della Russia. Accettare le richieste russe ora vuol dire mostrare a Mosca che la strategia del ricatto può funzionare sul grano e su altro. Nello stesso tempo, la navigazione nel Mar Nero interrotta non è soltanto un problema per Kyiv. Prima dell’arrivo di Erdogan a Sochi, Mosca  ha bombardato i porti, anche quello fluviale nella città di Izmail: voleva dimostrare che se non si cede alle richieste russe, anche le vie alternative che Kyiv sta esplorando per trasportare i cereali continueranno a essere colpite. 

 

Putin non rinuncia al suo rapporto con Erdogan e lo stesso vale per il leader turco: sempre dalla parte opposta in questi anni hanno dimostrato di essere capaci di capirsi, utilizzarsi. E’ sempre importante guardare l’entourage dei presidenti per capire con quali aspettative arrivano  a un incontro: Putin si era presentato con il ministro della Difesa Shoigu, che pure firmò la Black grain sea initiative, ma anche con il capo di Rosatom, l’azienda pubblica russa che si occupa di energia nucleare. Oltre all’Ucraina, i due leader hanno parlato di energia, della costruzione di una centrale nucleare in Turchia. Per sentirsi più libero di fare affari con Mosca, Erdogan in questo momento ha bisogno di un gesto, un segnale di apertura da parte di Putin. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)