Oltre la Via della Seta
Tajani a Pechino parlerà di diritti umani come fa la Sapienza?
Il ministro degli Esteri è in Cina per una delle missioni diplomatiche più complicate della sua vita. Intanto all'università romana è previsto un evento con Padma Choling, l’uomo di Pechino sanzionato dal Tesoro americano per violazione dei diritti umani
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani è arrivato a Pechino e qui si troverà ad affrontare una delle missioni diplomatiche più complicate della sua carriera. L’attivismo di questo periodo dell’ambasciatore cinese a Roma, Jia Guide, mostra un lavorìo a tutti i livelli dell’establishment per evitare il disastro che sarebbe soprattutto d’immagine: l’Italia, primo paese del G7 a fare ingresso nel 2019 nella Via della Seta, a dicembre potrebbe essere il primo paese a uscirne, nell’anno del decimo anniversario del lancio del progetto strategico cinese del leader Xi Jinping. E a due mesi dal Terzo Forum sulla Via della Seta, a lungo rimandato e infine programmato per ottobre, al quale parteciperà in presenza – salvo imprevisti – il presidente della Federazione russa Vladimir Putin. Venerdì Wang Webin, portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, durante la quotidiana conferenza stampa ha annunciato la visita di Tajani e rispondendo a una domanda molto probabilmente concordata con l’emittente di Shanghai Dragon Tv ha detto che la Cina “è pronta a collaborare con l’Italia per cogliere questa visita come un’opportunità per concretizzare ulteriormente le importanti intese comuni tra i leader dei due paesi, consolidare la fiducia politica reciproca, approfondire la cooperazione pratica”: un messaggio da leggere tra le righe, perché Wang non ha mai menzionato la Via della Seta.
La consapevolezza dell’uscita dell’Italia e della necessità di un piano di salvataggio contro le potenziali ritorsioni cinesi sembra ormai chiara anche a chi fino a qualche settimana fa diceva che sarebbe stato “un errore”. In un’intervista all’AdnKronos, Mario Boselli, presidente della Fondazione Italia-Cina, ora dice che il Memorandum sarebbe stato meglio non firmarlo: “Ora bisogna limitare i danni. E a onore e merito del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, se una può limitare i danni è proprio lei”. Ma nonostante la delicatezza del momento, la Cina sempre più autoritaria e aggressiva, c’è chi in Italia continua a tessere relazioni in alcuni campi meno conosciuti, e a promuovere un modello che non potrebbe essere più lontano da noi. Il prossimo 20 settembre, per esempio, è previsto un evento promosso dalla facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma insieme con la Società cinese per gli studi sui diritti umani e l’Associazione Roma 9. Si parlerà di “Modernizzazione e diversità della cultura dei diritti umani”. Da tempo ormai Pechino sta cercando di modificare la definizione di “diritti umani” per cancellarne l’universalità – per riassumere, nel nuovo ordine del mondo a guida cinese, i diritti umani non sono uguali per tutti. Una mossa di propaganda importante, che viene presa sul serio dalla Sapienza, evidentemente.
Il preside della facoltà di Giurisprudenza è Oliviero Diliberto, che è anche preside dell’Istituto Italo-Cinese di Wuhan, aperto nel 2019 con la Zhongnan University of Economics and Law sulla spinta della promozione della Via della Seta. La Società cinese per gli studi sui diritti umani (CSHRS) è un’organizzazione di Pechino che si occupa per lo più di smentire i rapporti sulle violazioni dei diritti umani in Cina, e l’Associazione Roma 9, invece, è nient’altro che lo spazio di Cina in Italia, un periodico in italiano edito da China News, l’agenzia di stampa statale cinese. A discutere di diritti umani a Roma ci sarà una folta delegazione cinese, forse guidata da una figura piuttosto controversa. Padma Choling, ex vicepresidente del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, è l’uomo della leadership cinese che rappresenta il tema dei diritti umani perché di etnia tibetana, ed è sanzionato dal Tesoro americano sin dal 2020 per le violazioni dei diritti umani perpetrate a Hong Kong.
Il de-risking di cui si parla oggi nei rapporti con la Cina, alla base della girandola di visite di questi giorni a Pechino, non riguarda soltanto il business, ma anche le università e la cultura, in pratica un sistema che promuove un modello molto più vicino alla Russia di Putin che all’Europa.