Folclore ucraino
“Suoniamo per preservare la nostra identità”, ci dice la band di Kyiv DakhaBrakha
Marko Halnevych, uno dei componenti del gruppo, racconta al Foglio "l'esperimento folkloristico" per “dare una nuova vita alle canzoni ucraine antiche e far sì che non si perdano, perché sono una parte della nostra cultura che sta svanendo" e come la guerra ha cambiato la loro musica
Un quartetto musicale ucraino da mesi e per i prossimi mesi si aggira per l’Europa: con i loro costumi tradizionali, strumenti antichi, i DakhaBrakha si esibiranno il prossimo 16 settembre al Teatro Argentina in occasione del Romaeuropa Festival, “per la prima volta in vent’anni di attività saremo a Roma”, dice dalla sua stanza in Ucraina Marko Halnevych, uno dei quattro componenti del gruppo, intervistato online dal Foglio. DakhaBrakha significa “dare prendere” in ucraino antico, perché le loro performance sono “un esperimento folkloristico”, cercando di dare una nuova vita alle canzoni che fanno parte della tradizione ucraina, combinandole con suoni, strumenti e ritmi contemporanei. “Si tratta di uno scambio di energia tra noi e i nostri antenati, una condivisione delle nostre radici con il pubblico che ci ascolta”, dice Halnevych.
Il gruppo, racconta il frontman, nasce nel 2004 da un’idea del direttore del Centro d’arte contemporanea Dakh di Kyiv di “dare una nuova vita alle canzoni ucraine antiche e far sì che non si perdano, che vengano tramandate e sopravvivano, perché sono una parte della nostra cultura che sta svanendo: la nostra musica è un modo per preservarla”. E la vocazione alla sopravvivenza dell’identità ucraina è più che mai attuale oggi, con un nemico che vuole “distruggere quello che siamo”, dice Halnevych: “Per noi è molto importante preservare l’identità nazionale, noi come musicisti siamo per la difesa della musica tradizionale, perché ogni nazione ha la propria musica, unica a modo suo, e noi ucraini oggi stiamo combattendo per rimanere come siamo, quelli che siamo. Ogni giorno di questa guerra ci ricorda che abbiamo il diritto di rimanere integri”.
Quando hanno iniziato a suonare, i DakhaBrakha pensavano solo alla musica, poi qualcosa è cambiato, e oggi che “la guerra sta cercando di distruggere il nostro paese, che i russi stanno uccidendo i nostri bambini, le nostre donne, i nostri soldati, non ce lo possiamo più permettere. Dobbiamo parlare anche di questo”. Il gruppo non vuole però che i propri concerti si trasformino in azioni politiche e quindi cerca sempre di trovare un equilibrio tra l’arte e la politica, molte delle canzoni “risalgono addirittura all’èra pre cristiana e non sono cariche di significato politico. Ma i nostri accompagnamenti video hanno spesso lo stesso significato: mandiamo messaggi e richieste di aiuto all’Ucraina in modo che possa rimanere un paese democratico”. Durante gli spettacoli tornano spesso a suonare canzoni a loro particolarmente care, come Plach, una canzone dedicata a un soldato ucciso nella guerra nel 2014 e più in generale a tutti coloro che sono morti nella guerra russo-ucraina, e Plyve Choven, “dedicata a tutti coloro che proteggono la nostra libertà e che stanno dalla parte dell’Ucraina”. Tutti i prodotti che vengono venduti durante i concerti, come le magliette e i gadget, vengono date in beneficenza, racconta Halnevych, “i fondi raccolti sono tutti destinati a questo scopo, lavoriamo continuamente con più di dieci fondazioni e doniamo anche una parte dei nostri stipendi, ci diciamo che sono ‘per la nostra vittoria’ perché è per questo che lavoriamo”.
In occasione della data a Roma, il musicista ringrazia il governo italiano che “ci supporta nella nostra lotta per la libertà”, e a chi pensa che la guerra in Ucraina non ci riguardi ed è contrario all’invio di armi dice: “Senza l’aiuto del mondo occidentale, senza le armi che riceviamo, l’Ucraina non sarebbe in grado di difendere le proprie case, i propri bambini, perché per quanto siamo forti e determinati, senza aiuti esterni, da soli, non potremmo resistere. Da sola l’Ucraina non esisterebbe più e questo aiuto è davvero fondamentale”. E oltre alle prossime date in Georgia, a Roma, Cipro, Romania, Paesi Bassi, i DakhaBrakha non hanno fermato il loro lavoro anche in Ucraina: “Ora mi trovo in Ucraina e la maggior parte dei miei amici e dei musicisti ucraini sono tutti a casa loro, qui, in Ucraina, con le loro famiglie. Noi cerchiamo tutti di vivere una vita normale, nonostante la guerra. Facciamo spesso concerti in Ucraina, abbiamo fatto un piccolo tour, due mesi fa abbiamo suonato e la sala era pienissima, certo ci sono delle interruzioni a causa dei bombardamenti, ci rifugiamo nei rifugi antiaerei, però una volta finito l’allarme i concerti riprendono, la gente ritorna, perché noi vogliamo vivere una vita normale, piena. E per quanto la Russia si sforzi di farci sommergere nelle tenebre, nel sottosuolo, non ce la fa e non ce la farà, perché noi vogliamo vivere, e infatti viviamo”.