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L'anniversario

Un anno senza Elisabetta II

Alberto Mattioli

Regina di un regno non glorioso, restò impeccabile per 25 mila giorni. Oggi sarà ricordata senza commemorazioni pubbliche. Passati i clamori del funerale in mondovisione e del cordoglio globale, si può tentare un bilancio più distaccato del suo regno

Oggi è un anno esatto dalla morte di Elisabetta II, Regina del Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e dei suoi altri reami e territori, Capo del Commonwealth, Difensore della Fede, più un’altra paginata di titoli. Non è prevista alcuna commemorazione, almeno pubblica. In casa Windsor non usa. Certo, il 14 dicembre fu a lungo soprannominato “il giorno del mausoleo”, perché Vittoria, nella data della morte dell’adorato Alberto, obbligava tutti gli innumerevoli figli e nipoti a estenuanti pellegrinaggi sulla di lui tomba. Ma, appunto, si trattava, e si tratta, di riti privati. E del resto “le Roi est mort, vive le Roi”: la continuità della monarchia non si interrompe mai, il suo corpo mistico non muore, e Carlo è diventato Re non quando è stato proclamato o incoronato, ma nel momento stesso in cui è spirata sua madre. 

Passati i clamori del funerale in mondovisione e del cordoglio globale, oggi si può tentare un bilancio più distaccato del regno di Elisabetta. La durata, certo, è impressionante: 70 anni e 214 giorni, più di ogni altro sovrano britannico, in Europa seconda solo a Luigi XIV. Ma non è stato un regno glorioso. Suo nonno vinse la Prima guerra mondiale e suo padre la Seconda, lei quella delle Falklands, decisamente meno impegnativa. Quando Elisabetta nacque, Britannia regnava ancora su un quarto delle terre emerse, il maggiore impero di tutti i tempi: lei ha dovuto sostituirlo con i fragili legami del Commonwealth, anche se va detto che gli inglesi sono stati così saggi da disfarsi delle colonie evitando guerre impossibili o traumatiche (i francesi in Algeria o i portoghesi in Angola avrebbero dovuto imitarli). Nel 1952, primo anno dell’era elisabettiana, la Gran Bretagna poteva ancora credere di essere una potenza mondiale: quattro anni dopo, il disastro di Suez dimostrò che era un’illusione. In tempi più recenti, la Brexit si è rivelata un pessimo affare, il Regno appare sempre più disunito e l’instabilità politica, negli ultimi anni, è stata quasi a livelli italiani. Non è stata nemmeno “la seconda età elisabettiana” che profetizzava Churchill, il primo dei suoi quindici premier: invece di un altro Shakespeare, ci si è dovuti accontentare dei Beatles (elevati all’Ordine dell’Impero britannico non per ragioni artistiche ma, testuale, “per i servizi resi alle esportazioni”, insomma perché vendevano i dischi).

Eppure, Elisabetta è stata una grande Regina e resta un esempio, almeno se si fa lo sforzo di non fermarsi solo ai cappellini e alle disavventure della parentela, cui peraltro lei ha sempre giudiziosamente preferito cavalli e cani, che non si sposano, non divorziano e non parlano. In un’epoca in cui sono tutti affannosamente impegnati a reclamare diritti veri o presunti, Elisabetta ha considerato la sua intera vita come un dovere. Ha fatto un lavoro che non si era scelta e che non corrispondeva né ai suoi gusti né alle sue aspettative: in fin dei conti, se le toccò la corona è per colpa di “that woman”, Wallis Simpson, e della deplorevole debolezza dello zio David-Edoardo VIII. Ma, visto che le è toccato, il suo dovere l’ha fatto con uno scrupolo, una dedizione e una serietà eccezionali. Non sapremo mai se pensasse davvero di essere stata scelta da Dio per regnare: di certo, si è comportata come se ci credesse. Il suo non è stato un mestiere, ma un sacerdozio. Per più di 25 mila giorni ha ripetuto le stesse parole, compiuto gli stessi atti, replicato gli stessi rituali nello stesso impeccabile modo. Non c’è una sola foto che la ritragga in una posa sconveniente o sbagliata o anche solo distratta. Due giorni prima di morire, ha avuto ancora la forza di alzarsi perché Liz Truss potesse “baciare le mani di Sua Maestà” e diventare così primo ministro (una fatica inutile, a posteriori). Perché i giuramenti si rispettano, e senza stare a chiedersi se abbiano un senso. Nel 1947, nel discorso radiofonico per la sua maggiore età, Elisabetta disse ai suoi popoli “che la mia intera vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio”. Mai promessa è stata più rispettata.

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