Fra le macerie di Rabat e Derna
Dove c'è un disastro ci sono le monarchie del Golfo a ricostruire. Anche in Marocco e in Libia
Terremoti e inondazioni. La pronta offerta di aiuti da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar non è solo un business, ma una strategia: Bin Salman e il sogno di una "nuova Europa" in medio oriente
Prima il terremoto in Turchia e Siria, adesso quello in Marocco e l’alluvione in Libia. I disastri naturali nel Nord Africa e nel medio oriente si stanno rivelando un’opportunità unica per chi vuole investire nella ricostruzione. In prima linea ci sono le monarchie del Golfo Persico, il cui zelo nell’offrire aiuti e assistenza economica all’indomani di ogni tragedia cela un disegno politico preciso. Una diplomazia nuova, quella che arriva dal Golfo, e che ruota attorno al desiderio di investire in grandi infrastrutture, ma stavolta secondo le regole dell’economia di mercato. Un cambiamento epocale rispetto a quando l’abbondanza di petrodollari permetteva di elargire pacchetti di aiuti finanziari incondizionati ai propri partner. I tempi sono cambiati e con essi le riserve di liquidità. La politica di potenza nella regione ora passa anche per la ricostruzione. I petrodollari oggi servono a investire in alleanze, non semplicemente a comprare leader. E’ il pragmatismo a guidare la nuova politica del Golfo nella regione. Lo ha fatto intendere domenica scorsa l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman che, appena entrato nel gruppo dei Brics, ha rivolto un discorso emblematico: “Credo che nel giro di cinque anni il medio oriente sarà la prossima Europa e l’Arabia Saudita sarà un paese completamente diverso”. Fino a spingersi ad augurarsi di “vedere il medio oriente in cima al mondo prima che io muoia. Questa è la guerra dei sauditi. Questa è la mia guerra”. Una guerra economica, si intende, che Bin Salman vuole combattere anche sulle macerie di paesi distrutti, come la Siria o il Marocco, o in difficoltà economica, come la Tunisia o l’Egitto.
Il piano dell’erede al trono saudita è ambizioso, fin troppo. Nonostante la vicinanza religiosa e politica, ad esempio per la questione legata al Sahara occidentale, in Marocco gli europei restano saldamente i primi partner commerciali e negli ultimi anni le relazioni commerciali fra Rabat e il Golfo hanno subìto un rallentamento. Ma nelle aspirazioni di Riad e Abu Dhabi potrebbe essere proprio questo il momento di tornare a volgere lo sguardo verso il Marocco con rinnovato interesse. Non a caso Emirati, Qatar e Arabia Saudita sono stati i primi a offrire aiuti a Rabat dopo il terremoto. Aiuti tutti accettati dal re Mohammed VI, sia quelli di carattere umanitario – nel caso dei ponti aerei e delle squadre di soccorso offerti da Abu Dhabi e Riad – sia quelli di carattere economico – è il caso del Qatar, che ha garantito circa 300 mila euro per la prima assistenza. L’obiettivo vero però sarà la fase successiva, quella in cui si dovranno tirare su ponti, strade e interi settori industriali, come quello del turismo su cui prospera l’economia marocchina.
Per il Golfo si tratta di replicare il modello siriano, dove la normalizzazione delle relazioni fra l’Arabia Saudita e gli Emirati da una parte e il regime di Damasco dall’altra porta in dote appalti milionari per ricostruire un paese che viene da oltre 10 anni di guerra e da un terremoto che ha ucciso quasi 9 mila persone. E poi c’è l’Egitto, dove l’economia non è mai stata così in difficoltà. I sauditi si sono detti pronti a dare aiuto, ma non a fondo perduto. Riad vuole costruire le nuove grandi infrastrutture del paese dettando le sue regole, ovvero togliendo dalle mani dei generali grandi settori dell’economia e prendendone il controllo. Una condizione nuova e soprattutto scomoda, per il regime di Sisi. Infine c’è la Libia, dove l’est è stato devastato in questi giorni dalla tempesta Daniel. Le immagini apocalittiche che arrivano da Derna e Bayda mostrano fiumi di fango che hanno trascinato via 2.000 morti, colpendo anche il settore estrattivo. Qui sono gli Emirati a essere i più coinvolti, in qualità di sponsor del generale della Cirenaica, Khalifa Haftar. Si partirà dal mettere in sicurezza le città e i pozzi petroliferi. Non solo armi, sono cambiate le priorità: si investe nel tessuto socio-economico per conquistare i cuori e le menti della “nuova Europa” sognata dalle monarchie del Golfo.