"lì dove il tempo è sparito"

Il fango si porta via Derna, simbolo di una Libia isolata e in macerie

Luca Gambardella

L'uragano Daniel uccide circa 10 mila persone, mentre la comunità internazionale resta a guardare. E come non bastassero 10 anni di violenza, ora la città dell'est è distrutta

Più che cibo, vestiti e altri beni di prima necessità nella città di Derna mancano i sacchi in cui rinchiudere i cadaveri. Le vittime dell’uragano Daniel, che ha colpito l’est della Libia negli ultimi giorni, sono abbandonate fra il fango e le macerie e il rischio ora è la diffusione di epidemie. Secondo fonti libiche, i morti potrebbero avere raggiunto quota 10 mila, ma si tratta di stime da prendere con cautela perché impossibili da verificare. Nella Cirenaica spartita fra le milizie, senza un governo riconosciuto dalla comunità internazionale, non esistono conte dei morti, piani di intervento per le emergenze e operazioni di recupero dei superstiti. Si sa invece che il bilancio dei dispersi è impossibile da quantificare, perché sono talmente tanti che intere famiglie sono state spazzate via dal fango, senza lasciare nessuno in vita in grado di denunciare la scomparsa dei propri cari.

 

 

Da Tripoli, il premier dell’altra parte del paese, Abdulhamid Dabaiba, ha espresso le sue condoglianze per il disastro che ha colpito il lato opposto del suo stesso paese. Persino stavolta è stato lasciato solo dalla comunità internazionale. Fino a oggi, nessuna squadra di intervento è arrivata dall’estero per prestare aiuto, se si fa eccezione di un piccolo team di salvataggio inviato dalla Turchia e un altro in partenza in serata dalla Francia. Dabaiba ha provato a minimizzare, dicendo che “i libici sono forti” e che “possiamo farcela anche da soli”. La realtà però è ben più drammatica. 

 

 

Derna è stata dichiarata “inabitabile” dal governo dell’est, guidato dal premier Osama Hammad. La forza dell’acqua, che ha superato i tre metri di altezza, ha distrutto la diga della città, ridotta  a un enorme cumulo di fango. Del disastro che interessa la Cirenaica, Khalifa Haftar ha grandi responsabilità, denuncia il sindaco di Derna. Nonostante le sue richieste, ha detto il sindaco, il generale  avrebbe impedito che la città fosse evacuata e, invece di aiutare i residenti a fuggire, gli uomini di Haftar li avrebbero convinti che fosse meglio restare nelle loro case, dove sono rimasti intrappolati. Uno studio dello scorso anno condotto da un ricercatore dell’Università di Bayda aveva avvertito che la diga di Derna, piegata dalla forza dell’acqua in queste ore, aveva delle criticità, ma nessuno aveva preso in considerazione la sua ricerca. E ancora, secondo la Banca centrale libica, gran parte dei fondi destinati alle opere pubbliche, oltre 300 milioni di dinari (equivalenti a circa 60 milioni di euro), sarebbe stata spesa per opere di edilizia e messa in sicurezza. Il livello di corruzione e clientelismo su cui si regge il potere di Haftar è però talmente radicato che quel denaro è sparito fra le mani delle sue stesse milizie. 

 

 

Resta la parabola di  città come Derna, che racconta meglio di ogni cosa le vicissitudini della Libia nell’ultimo decennio. Lì dove “il tempo era sparito e nulla induceva a piangere la caducità di ogni cosa umana”, come raccontò lo scrittore italiano Alessandro Spina circa un secolo fa, si sono poi succedute violenze fra le più efferate. Rimasta fuori dal controllo di qualsiasi autorità, dal 2012 le milizie più radicali imperversarono per la città. Esecuzioni sommarie, rapimenti, omicidi fecero di Derna uno dei luoghi più pericolosi del paese. A novembre del 2014, lo Stato islamico prese il controllo della città, che divenne così la prima del Califfato ad affacciarsi sul Mediterraneo, alle porte dell’Europa. Derna diventò il laboratorio dello Stato islamico nel Maghreb. La rigida applicazione della sharia era pubblicizzata sui media del Califfato e le foto degli strumenti musicali dati alle fiamme e delle esecuzioni degli infedeli facevano il giro del mondo. Ma l’intento di replicare quanto fatto in Siria e Iraq fallì per le divisioni fra i gruppi degli islamisti. Gli uomini dello Stato islamico furono cacciati dagli stessi residenti e da altri islamisti, che a loro volta furono messi in fuga dopo 10 mesi di assedio da parte degli uomini di Haftar. Il generale puntò molto su quel successo, tentando di spenderlo per presentarsi alla comunità internazionale come il liberatore di Derna dall’islam radicale e violento. In realtà, Haftar passò gli anni successivi a imprigionare ogni suo dissidente e imporre le sue regole, altrettanto spietate. Fino al mese scorso, quando le elezioni municipali sono state cancellate perché il candidato sostenuto dal generale è stato arrestato. E ora la devastazione causata dall’uragano ha indebolito  la fiducia della popolazione locale in Haftar e negli uomini aveva scelto alla guida delle città dell’est.     

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.