la monarchia
Il Marocco vuole indietro il suo re, anche se è un incompiuto
Il silenzio di Mohammed VI dopo il sisma che ha ucciso quasi tremila persone racconta le speranze tradite di un sovrano manchevole
La popolazione attendeva una sua parola. Conoscendo l’estrema discrezione del sovrano, nessuno si aspettava di vederlo sulle macerie dei villaggi dell’Alto Atlante, o in visita nella regione di Marrakech, colpita nella notte tra l’8 e il 9 settembre da un sisma di magnitudo 6.8, il cui bilancio provvisorio è di quasi tremila vittime. Il re del Marocco, Mohammed VI, è invece restato muto, mentre i soccorritori faticavano a raggiungere le zone colpite: intere cittadine di fango e povertà rase al suolo. Quando il terremoto ha colpito il paese, il monarca era a Parigi, nel suo palazzo a due passi dalla Torre Eiffel. Sarebbe tornato a Rabat soltanto 24 ore dopo. I social reali e le televisioni di stato hanno poi reso pubbliche le immagini di una riunione dei vertici del regno, presieduta dal sovrano con indosso una tradizionale djellaba lilla e il fez, il copricapo di feltro rosso. Questo silenzio racconta le speranze tradite di un sovrano incompiuto.
Con l’arrivo della scorsa primavera e del mese sacro del digiuno di Ramadan, dopo settimane di prolungate e ripetute assenze, il sovrano – M6 come lo chiamano la stampa marocchina e quella francese – era tornato ad apparire attivamente in pubblico. Mohammed VI non ha mai amato partecipare né a cerimonie di stato né a vertici internazionali. Ad agosto ha festeggiato 60 anni, quasi 25 dei quali alla guida del paese, senza l’ombra di una celebrazione pubblica. La sua discrezione si è con il tempo trasformata in assenza, aggravando il senso di incompletezza del suo regno. Resta per mesi sulle spiagge dell’Africa occidentale, in Gabon, o a Parigi, dove sarebbe anche in cura a causa di una salute fragile. La sua lontananza, in un momento di crisi economica esacerbata dalla guerra in Ucraina, di inflazione in crescita, di siccità e carestia, di aumento della povertà e malcontento sociale metterebbero per alcuni osservatori le basi per una crisi costituzionale senza precedenti, mentre chi addirittura evoca l’abdicazione sa bene che il tempo del suo erede, il ventenne Moulay el Hassan, non è ancora giunto. Il Marocco vuole indietro il suo re. Lo voleva indietro già prima di questo terremoto, nonostante la sua distanza dalla popolazione, nonostante le sue assenze, le sue promesse mancate, nonostante le riforme incompiute e la speranza tradita. Lo rivuole per preservare quella stabilità che da decenni rende il paese un’eccezione in un vicinato attraversato da conflitti, rivoluzioni, colpi di Stato e fondamentalismi. La solidità del suo regno tranquillizza l’Europa, osservatore attento sull’altra sponda del Mediterraneo.
Quella marocchina è tra le monarchie più antiche del mondo arabo-islamico. Anche se in forma diversa da quella attuale, è lì dall’VIII secolo dC. La sua storia è fonte di legittimità politica ma anche religiosa: la dinastia vanta un’antica parentela con il profeta Maometto. Perfino nei momenti di dissenso più profondo contro il governo, nessuno nel paese ha mai messo in discussione l’istituzione monarchica e il suo re, bensì il governo e il suo sistema. Il potere del sovrano è assoluto: è lui ad avere l’ultima parola su ogni questione. Mohammed VI ha però dimostrato di non avere una gran voglia di governare, approfittando tuttavia delle ricchezze familiari, cresciute nei decenni attraverso una poco limpida commistione tra politica nazionale ed economia. Prima di diventare re, M6 ha passato la giovinezza a prepararsi all’ascesa al trono, avvenuta nel 1999. Con sé portava le speranze di rinnovamento di una generazione nuova. E nei primi anni del suo regno, il sovrano non ha tradito le aspettative: ha perlomeno tentato una ormai mancata riconciliazione nazionale attraverso una commissione di inchiesta sui sanguinosi anni di repressione interna durante il regno del padre, Hassan II; ha varato riforme sul codice della famiglia che hanno migliorato la condizione delle donne; ha dato forza all’industria nazionale; costruito infrastrutture fondamentali come l’innovativa centrale solare di Ouarzazate. Eppure, le repressioni di stato sono tornate puntuali dopo l’attentato jihadista che nel 2003 ha colpito Casablanca uccidendo decine di persone. Le limitazioni delle libertà di espressione e di stampa e gli arresti seguiti al dissenso del 2011, calmato in parte attraverso cosmetiche riforme costituzionali, hanno messo fine a una breve stagione di vivacità delle opposizioni.
A rivolere indietro il suo re è anche il palazzo: un intricato e tentacolare sistema di funzionari e dignitari che amministra il paese, lo ascolta e controlla attraverso pervasivi apparati di sicurezza. I marocchini lo chiamano makhzen, termine che potrebbe essere tradotto dall’arabo come “magazzino”, il luogo dove gli antenati dei burocrati di oggi ammassavano soldi e altri beni con cui i sudditi pagavano al regno le loro tasse. Sono questi stessi funzionari che, per correre ai ripari e salvare il proprio mondo, hanno fatto per primi emergere sulla silente stampa nazionale l’incredibile storia di come le attenzioni di Mohammed VI fossero state dirottate lontano dalle sorti del regno dalla compagnia di un atleta di MMA, o arti marziali miste. Abu Bakr Azaitar, giovane tedesco di origini marocchine, con una certa frequentazione delle carceri in Germania per furto di auto e violenze contro la fidanzata, era infatti diventato assieme ai suoi fratelli una potente presenza a corte, capace persino di gestire gli accessi di ministri e funzionari a M6.
Il trucco sembrerebbe aver funzionato per un certo periodo, visto che dopo lo scandalo causato in Marocco dalla pubblicazione di un lungo reportage dell’Economist sulla faccenda, il re sembrava essere tornato più presente a palazzo, meno sulla scena internazionale, dove lo vorrebbero invece più attivo gli alleati occidentali. Mohammed VI alterna una diplomazia innovativa – il Marocco è tra quei paesi arabi che hanno recentemente firmato una storica intesa con Israele – a vecchi rancori insanabili. La vicina Algeria, sebbene abbia aperto nelle drammatiche ore dopo il terremoto il suo spazio aereo ai cargo di aiuti per Rabat, resta rivale sull’eterna disputa territoriale attorno al Sahara occidentale. E le relazioni con l’antico colonizzatore francese non sono mai state così danneggiate. Pesano sul futuro di questo rapporto rivelazioni del 2021 secondo le quali l’intelligence marocchina avrebbe intercettato attraverso i dispositivi di una società israeliana le comunicazioni di dirigenti francesi.