Missili contro la Flotta russa nel Mar Nero
Tanti piccoli attacchi e un grande obiettivo: isolare la Crimea
La controffensiva combattuta da lontano è il metodo meno sanguinoso per ottenere lo stesso risultato: liberare il sud
“Due navi sono ormai perdute”, ammettono anche i funzionari russi nella Crimea occupata che – mentre Vladimir Putin è con Kim Jong Un a parlarle di “forze del male” e come debellarle – tradiscono un po’ di nervosismo verso il Cremlino perché la penisola è sempre più esposta e la contraerea assegnatale non è sufficiente. Nella notte tra martedì e mercoledì dieci missili ucraini hanno colpito una base russa nella città di Sebastopoli, nella zona di riparazione delle navi da guerra che è un buon obiettivo perché lì le imbarcazioni restano ferme sulla banchina per un po’ e quindi si possono calcolare con precisione le coordinate prima di sferrare il colpo. Hanno distrutto la nave da sbarco Minsk e gravemente danneggiato il sottomarino Rostov sul Don, nei video si vede la piattaforma avvolta da un colore rosso fuoco e si sentono diversi colpi e poi un grande boato. Pochi minuti dopo si è creato il panico in città perché le autorità di occupazione hanno capito che questo genere di attacchi non sono mai condotti soltanto da lontano: ci sono i missili sparati a distanza dai vecchi caccia ucraini ma spesso anche gli uomini delle forze speciali sul campo che hanno il compito di sabotare i radar e annichilire le difese russe. Demilitarizzare la Crimea e isolarla è un obiettivo ambizioso della controffensiva di Kyiv, ma sarebbe anche il metodo meno sanguinoso per liberare il sud. Perché la penisola è collegata alla terraferma soltanto da poche grandi strade e dal ponte di Kerch, tagliare le vie di comunicazione lì si può fare, mentre non si può fare lo stesso per il distretto di Melitopol. Il risultato finale però sarebbe simile: con la Crimea interdetta o poco agibile sarebbe molto più difficile per Mosca tenere Melitopol.
La controffensiva non è soltanto un combattimento logorante fatto di assalti alle trincee russe e avanzamenti che si misurano in centinaia di metri, ma una guerra combattuto da lontano con l’obiettivo di distruggere risorse russe fino a rendere insostenibile il mantenimento di alcune posizioni. Qualsiasi esercito preferisce accerchiare il nemico e costringerlo a cedere che condurre un assalto frontale, e mentre nella direttrice della controffensiva più famosa – quella a sud di Zaporizhzhia – si può soltanto procedere per assalti frontali, la Crimea si può almeno in linea teorica assediare, disconnettendola dalla Russia e dal resto dei territori occupati in Ucraina. Colpendo gli armamenti per renderla più indifesa e bombardando i ponti come quello di Kerch a est e quello di Chongar a nord, come Kyiv ha fatto la prima volta alla fine di giugno.
Gli ucraini chiamavano la Crimea occupata “un coltello nel ventre” già prima dell’invasione totale, perché era chiaro che fosse un piattaforma di lancio formidabile per Putin in caso di guerra. Permetteva di stringere un pezzo di Ucraina in una morsa russa da sud e da est, invece di costringere i soldati a procedere per costosissimi ed estenuanti assalti frontali da un punto solo. Da molti mesi la Crimea non è più quella delle vacanze di lusso a Yalta e della vita civile: è una gigantesca base militare di Mosca indispensabile per mantenere il controllo anche su ampie porzioni del sud dell’Ucraina nella regione di Kherson e di Zaporizhzhia. Dal primo giorno di controffensiva, gli ucraini non si sono mai augurati di riconquistare il proprio territorio metro per metro, ma fanno pressione sulla linea del fronte, sulle linee logistiche in profondità e sulla Crimea, perché se le difese di Mosca crolleranno in un punto, si porteranno dietro a cascata altri cedimenti. Mettere in crisi la Crimea comporterebbe uno smottamento a sud perché i russi che occupano un pezzo della oblast di Zaporizhzhia e di Kherson ricevono i rifornimenti soprattutto dalla penisola, e sarebbero molto più insicuri se potessero fare affidamento soltanto sulle munizioni che arrivano dalla Russia facendo un giro lunghissimo per i territori occupati.
I continui attacchi in Crimea vanno letti nel quadro di un piano di medio o lungo periodo per smilitarizzarla e isolarla. Ieri il ponte di Kerch, l’unico che collega la Crimea alla Russia, è stato chiuso come è già successo molte volte nell’ultimo anno, da quando all’inizio di ottobre del 2022 è stato colpito con un camion bomba a poche ore dal giorno del compleanno di Putin. Nell’attacco a Sebastopoli non c’erano soltanto i missili ma anche due droni marini, i barchini robot di colore scuro, riempiti di esplosivo e con una telecamera sul dorso, che sono stati usati anche per colpire di nuovo il ponte di Kerch a luglio. Ieri ci sono stati dei morti perché in città è cominciato uno scontro a fuoco quando la polizia è uscita armi in pugno per dare la caccia ai sabotatori ucraini, ma secondo fonti russe i poliziotti hanno ammazzato per errore quattro soldati di Mosca scambiati per nemici nella confusione. Questo attacco arriva dopo settimane di operazioni più piccole per disarticolare le difese aeree russe in Crimea. Non è sicuro che l’altra notte a Sebastopoli ci fossero anche dei sabotatori ucraini infiltrati ma è credibile perché è già successo molte volte di recente. L’ultima è stata a metà agosto, quando l’intelligence militare ucraina (Gur) ha filmato con un proprio drone l’istante in cui ha distrutto un S-400, il sistema di contraerea più prezioso e sofisticato di Mosca: uno completo vale circa un miliardo di dollari e la Russia ne ha solo 25 in totale. Le operazioni in Crimea sono pensate dal Gur, cioè dal generale Kyrylo Budanov, che ieri si è complimentato subito con i piloti ucraini che hanno sparato i missili contro le navi da guerra a Sebastopoli e se lì c’erano anche sabotatori sul campo erano suoi uomini.
In questi giorni si parla molto di una polemica che riguarda Elon Musk: è uscita la sua biografia autorizzata in cui racconta di aver impedito un attacco ucraino in Crimea, che paragona a “una piccola Pearl Harbor” e sostiene che avrebbe potuto scaturire la Terza guerra mondiale. Così Musk bloccò l’uso della sua Starlink – che gli ucraini utilizzano per restare connessi e anche per pilotare i droni – per prevenirlo. Poi gli attacchi con droni marini ucraini in Crimea ci sono stati, e visto che si trattava di operazioni contro obiettivi militari in un territorio che per le leggi internazionali è Ucraina, la Terza guerra mondiale non è cominciata. Anche ieri notte Starlink ha improvvisamente smesso di funzionare proprio intorno all’ora dell’attacco, i missili e i droni di Kyiv sono comunque arrivati a Sebastopoli.