(foto Ap)

negli usa

Tutte le tappe del "Cafè Milano-gate" di Biden

Marco Bardazzi

Il presidente americano ha accompagnato il figlio Hunter a due cene al famoso ristorante di Washington: per i repubblicani è il luogo della corruzione. I processi di Biden jr, l’ossessione dei trumpiani e il dolore di un padre   

Ci sono due luoghi molto noti a Washington che per ora non hanno alcuna relazione l’uno con l’altro. Ma potrebbero averla presto, se andrà avanti il progetto dei repubblicani di mettere sotto inchiesta Joe Biden. Uno è il complesso residenziale del Watergate, un gigantesco condominio affacciato sul Potomac che dagli anni Settanta è diventato sinonimo di intrigo, scandalo e guai per la Casa Bianca. Se dal Watergate si percorre il lungofiume e poi si risale verso il quartiere residenziale di Georgetown, in un quarto d’ora a piedi si arriva al secondo luogo celebre, il Cafe Milano di Franco Nuschese, che da trent’anni è il ristorante italiano dei potenti, dei vip e dei presidenti. Al Congresso il partito di Donald Trump sta cercando di preparare, per l’anno elettorale in arrivo, un mix tra i due luoghi simbolo: tramutare il Cafe Milano nel Watergate di Biden. Scatenare un “Cafe Milano-Gate” (il suffisso -gate ormai da decenni è diventato sinonimo di scandalo politico) che trasformi due cene di dieci anni fa alle quali aveva partecipato l’allora vicepresidente di Barack Obama in elementi di prova per costruire un impeachment in piena campagna elettorale. 

 

L’inizio formale dell’operazione è stato l’annuncio martedì da parte dello speaker della Camera, il repubblicano Kevin McCarthy, dell’avvio di un’indagine che dovrebbe condurre a un voto in aula sull’apertura della messa in stato d’accusa vera e propria. Ma la cosa era nell’aria da mesi e il partito d’opposizione da tempo era impegnato in audizioni che non potevano che condurre a questo punto.  Va detto subito che è un’arrampicata sugli specchi. Le cene al momento non sembrano avere niente di cospiratorio (e il ristorante che le ha ospitate ovviamente non c’entra nulla in tutta la vicenda) e più in generale il castello di indizi di vario genere che i repubblicani stanno costruendo non pare avere fondamenta solide. Senza contare che alla fine a decidere è il Senato, dove comandano i democratici. Di impeachment presidenziali in tutta la storia americana ce ne sono stati solo quattro, due dei quali hanno riguardato Donald Trump, e sono finiti sempre in assoluzioni. L’unico presidente a essersi dimesso per un’inchiesta giornalistico-giudiziaria è stato Richard Nixon, che lasciò l’incarico prima di finire sotto impeachment per lo scandalo Watergate.

 

Ma nell’era dei social e della politica iper-polarizzata, lo scopo dell’offensiva repubblicana non è quello di arrivare a un processo politico, per il quale non avrebbero comunque i numeri. E’ quello di creare una contro-narrazione, di seminare dubbi, di alimentare i post corrosivi su X/Twitter e di dare a network tv e programmi radiofonici amici qualcos’altro di cui parlare che non siano i quattro processi giudiziari che attendono Trump. E’ un bis di quello che avvenne nel 2016, con il tormentone sui presunti segreti contenuti nelle mail di Hillary Clinton (ricordate?), che non portò a niente, ma contribuì a intorbidire le acque quanto bastava nella volata finale della corsa alla Casa Bianca. E a far vincere Trump.  Stavolta non è una questione di mail, ma di affari. E tutto ruota intorno alla figura più tragica, controversa e vulnerabile della dinastia Biden: suo figlio Hunter. Proviamo a ripartire dall’inizio, per arrivare a capire che c’entrano le cene dei Biden al Cafe Milano.

 

La storia della famiglia Biden è costellata di dolori. Nel 1973, quando Joe era da poco diventato per la prima volta senatore, il suo nucleo familiare andò in frantumi. L’auto su cui la moglie Neilia era andata a fare shopping natalizio con i figli fu travolta da un autocarro. Morirono Neilia e la figlia Naomi, un anno, mentre rimasero gravemente feriti – ma sopravvissero – i due figli maschi Beau e Hunter, tre e due anni. Joe Biden crebbe i due ragazzi insieme alla seconda moglie Jill, l’attuale first lady, sposata nel 1977. E ben presto fu evidente che Beau era l’erede politico, il ragazzo carismatico, l’atleta, il predestinato. Avvocato di successo, cominciò una carriera sulle orme del padre che lo portò a diventare procuratore generale del Delaware, lo stato dei Biden. 

Hunter nel frattempo inseguiva molteplici attività, si sposò in fretta e furia con un’assistente sociale che aveva messo incinta e cominciò presto ad avere problemi di alcolismo e di droghe. I due fratelli erano molto legati, ma se i Biden fossero stati i Windsor, Beau sarebbe stato l’erede al trono William e Hunter il complicato fratello minore Harry. La seconda tragedia arrivò nel 2015, quando Beau morì di un tumore al cervello a 46 anni. Hunter all’epoca era diventato un lobbista e un imprenditore con contatti internazionali, entrando tra le altre cose nel consiglio d’amministrazione di una società dell’energia in Ucraina, Burisma, che era già al centro di inchieste per corruzione. La morte di Beau fu un colpo durissimo per il fratello, che discese in una spirale di alcolismo e consumo di crack, mandò a rotoli il matrimonio e creò una serie di problemi al padre all’epoca vicepresidente. 

 

Quegli anni a cavallo della morte di Beau sono il periodo su cui si sono già concentrate alcune inchieste su Hunter Biden e sui rapporti con suo padre, avviate su input dell’allora presidente Trump e sono tornati adesso al centro dell’attenzione dei repubblicani in Congresso. Il sospetto su cui si basa tutto è che Joe Biden abbia usato il suo peso politico per favorire gli affari di Hunter, soprattutto in Ucraina. L’attuale presidente all’epoca come oggi stava cercando di fare di tutto per stare vicino a Hunter e per aiutarlo a uscire dalle sue dipendenze dall’alcol e dalla droga. E’ in questo contesto storico che si inseriscono un paio di cene al Cafe Milano tra il 2014 e il 2015 di cui per la prima volta quest’estate ha parlato Devon Archer, ex socio di Hunter negli affari nell’est europeo. L’allora vicepresidente sarebbe comparso in quelle circostanze a fianco del figlio in cene con personaggi come il Cfo di Burisma, Vadym Pozharsky, la miliardaria russa Yelena Baturina e l’oligarca kazako Kenes Rakishev. I repubblicani sono a caccia di spostamenti di denaro che, a loro dire, sarebbero legati a quelle cene e hanno raccolto testimonianze che parlano di versamenti per milioni di dollari da parte di Baturina a società offshore riconducibili a Hunter Biden e Archer.   In realtà su tutte queste vicende ha già indagato David Weiss, il procuratore nominato da Trump per approfondire il caso Hunter Biden, senza trovare niente di penalmente rilevante per il presidente, né niente di particolarmente significativo su suo figlio. L’Amministrazione Biden ha mantenuto Weiss al suo posto, l’investigatore ha continuato il suo lavoro negli ultimi due anni ed è difficile che i repubblicani in Congresso possano trovare qualcosa che non sia già stato vagliato da lui. 

 

I problemi però per Joe Biden non vengono solo dai possibili sviluppi del caso Burisma, quanto soprattutto dalla complessità della figura del figlio e delle vicende che lo hanno visto protagonista. Hunter Biden è già riuscito a provocare un impeachment, ma paradossalmente è stato quello di Trump. L’allora presidente è stato processato e assolto dal Congresso nel 2020 dall’accusa di aver in qualche modo ricattato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, frenando l’invio di armi all’Ucraina per far pressione sul governo di Kyiv perché avviasse indagini su Joe Biden e Hunter in vista delle elezioni per la Casa Bianca.  Da allora Hunter è rimasto una spina nel fianco del padre e un bersaglio continuo di attacchi da parte dei repubblicani. E non ha fatto molto per sottrarsi alle controversie. Anzi.  Nel corso degli anni è finito sui tabloid per una relazione con la vedova di suo fratello, Hallie. Poi è entrato e uscito innumerevoli volte da cliniche per la riabilitazione, ricadendo regolarmente nelle sue dipendenze e lasciandosi macerie alle spalle. Nel 2019 si è infine sposato una seconda volta, con Melissa Cohen, e da allora avrebbe cominciato un periodo di sobrietà e disintossicazione, che appare però sempre precario.  Nel frattempo Weiss ha continuato a indagare su di lui e l’Fbi ha avuto accesso a tutte le sue operazioni bancarie. L’inchiesta non ha portato a scoprire reati gravi e nell’aprile scorso gli investigatori hanno annunciato che avrebbero incriminato Hunter Biden per due questioni minori: un’evasione fiscale non particolarmente significativa e l’acquisto irregolare di un’arma. Poca roba rispetto a quello che speravano i repubblicani, che hanno gridato allo scandalo e accusato l’amministrazione Biden di voler “coprire” il figlio del presidente, nonostante l’inchiesta fosse condotta da un procuratore nominato da Trump. 

 

A giugno accusa e difesa hanno raggiunto l’accordo per un patteggiamento che avrebbe potuto chiudere una vicenda che si trascina da anni, facendo tirare un sospiro di sollievo alla Casa Bianca alla vigilia dell’anno elettorale. E qui è arrivato un nuovo colpo di scena.  A fine luglio le parti si sono presentate di fronte al giudice che doveva accettare l’accordo, Maryellen Noreika, che però ha cominciato a interrogarli in aula per capire il perimetro del patteggiamento. E’ emerso così che secondo la difesa il patto prevedeva l’immunità per Hunter Biden anche per qualsiasi inchiesta futura sulle stesse vicende (per cautelarsi da un possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca nel novembre 2024). L’accusa invece ha dato una lettura molto più ristretta dell’accordo e ha escluso che equivalesse a un’immunità. Una pessima figura per entrambi le parti, con il giudice Noreika che è andata su tutte le furie e ha annullato tutto. 

 

Hunter Biden adesso va incontro a un’incriminazione e a un processo e nonostante si tratti di reati minori c’è da scommettere che le udienze diventeranno un’occasione per attacchi politici al padre presidente. Ma la vicenda ha un’ulteriore complicazione, per colpa di un altro colpo di scena.  Dopo il fallito accordo sul patteggiamento, Weiss si è presentato al ministro della Giustizia Merrick Garland e ha chiesto di essere nominato “special counsel” sul caso Hunter Biden, cioè di avere pieni poteri d’indagine pari a quelli che anni fa ha avuto l’ex direttore dell’Fbi Robert Mueller, incaricato di indagare sui presunti rapporti tra il presidente Trump e i russi. Garland, forse temendo di essere accusato di parzialità e di voler proteggere il presidente, ha acconsentito. E così nel giro di un mese una vicenda giudiziaria che poteva chiudersi con un rapido patteggiamento, si è trasformata in un processo-spettacolo e in un’inchiesta a vasto raggio affidata a Weiss, che incomberà sulla Casa Bianca per tutta la durata dell’anno elettorale.  L’accelerazione della giustizia, unita all’attivismo dei repubblicani alla Camera che sono alla ricerca di motivi per avviare la procedura dell’impeachment, significa un gigantesco problema per Joe Biden e permettono ora a FoxNews e alle altre testate della destra di evitare di parlare dei processi di Trump per concentrarsi sulle vicende di Hunter. 

 

Per il team del presidente è un guaio difficile da gestire anche per la natura dei rapporti tra padre e figlio. Joe Biden non ha mai accettato i suggerimenti dei suoi strateghi di prendere un po’ di distanza da Hunter. I due si sentono al telefono tre volte al giorno, il figlio soggiorna spesso con la moglie alla Casa Bianca e Joe Biden lo porta con sé in giro per il mondo, sull’Air Force One e alle cene di Stato. La sua convinzione è che Hunter “non ha fatto niente di male” e che la giustizia lo proverà facendo il suo corso.  Il legame tra un padre e un figlio segnati da varie tragedie familiari ha spinto lo staff del presidente a fare un passo indietro e a non mettere bocca nella loro relazione. Ma gli strateghi elettorali sanno che Hunter è uno dei punti più deboli del candidato Biden, nel momento in cui si avvia a combattere per restare alla Casa Bianca altri quattro anni. 

 

I segnali che il figlio del presidente continua a mandare sono preoccupanti per il team democratico. Quando non è alla Casa Bianca, Hunter vive rifugiato nella sua casa in California dove passa il tempo a dipingere, l’attività che sembra aiutarlo di più a tenere lontani i demoni dell’alcool e della droga. L’altra attività che riempie le sue giornate è quella di gestire le proprie disavventure legali e preparare il processo che adesso sembra difficile da evitare. Su questo fronte lo assiste il suo vicino di casa Kevin Morris, un avvocato celebre specializzato nel gestire i guai delle star di Hollywood, che da tempo si fa carico di Hunter anche da un punto di vista economico, prestandogli soldi. La figura di Morris rassicura Hunter ma preoccupa gli assistenti di Biden a Washington. Perché l’avvocato è in rotta con i legali di fiducia della Casa Bianca e secondo il New York Times sta usando la sua influenza su Hunter per spingerlo a combattere con molta più durezza la sua sfida ai repubblicani e alle inchieste.  Alla fine, è probabile che di penalmente rilevante in tutta la storia emerga poco o niente e l’impeachment non è detto arrivi neppure a un voto nell’aula del Senato. Ma la figura tragica di Hunter servirà comunque allo scopo dei repubblicani: far circolare il dubbio tra gli elettori che Biden, oltre ad essere vecchio, sia anche corrotto.  E contribuire così a far passare in secondo piano di cosa sia accusato l’ex presidente che probabilmente il 5 novembre 2024 tornerà a giocarsi la Casa Bianca contro Joe Biden. 

Di più su questi argomenti: