in cina
A Pechino spariscono ministri
Prima il titolare degli Esteri, mai più visto, ora quello della Difesa. Cosa ci guadagna (e ci perde) Xi
Immaginate se a un certo punto Antonio Tajani sparisse. All’improvviso non si presenta agli eventi, non si vede più tra i vicoli attorno a Palazzo Chigi, e il governo, come se niente fosse, manda a sostituirlo il suo predecessore, Luigi Di Maio. Quando qualcuno chiede spiegazioni gli viene risposto: Tajani ha problemi di salute. Solo che poi, un mese dopo, più o meno la stessa cosa succede a qualche generale dello stato maggiore, e poi sparisce pure il ministro Crosetto. Anche lui, ufficialmente, per “motivi di salute”. Non è fantapolitica, nemmeno l’inizio di un romanzo distopico. E’ ciò che sta succedendo in Cina sin dal giugno scorso, dopo la nomina, tre mesi prima, a ministro degli Esteri e ministro della Difesa rispettivamente di Qin Gang e Li Shangfu. Quest’ultimo, ingegnere aerospaziale e generale dell’Esercito popolare di liberazione, è apparso l’ultima volta in pubblico a Pechino, al forum “Cina-Africa per la pace e la sicurezza”, il 29 agosto scorso. Poi più nulla.
Certo, il paragone con l’Italia è azzardato perché il nostro è un governo democratico. Nella Repubblica popolare cinese l’esecutivo è in realtà una emanazione del Partito comunista cinese, che approva le nomine del suo leader Xi Jinping, e né la stampa né i cittadini cinesi sono particolarmente interessati a quel che succede dentro ai corridoi dello Zhongnanhai, il blindato complesso di palazzi del potere di Pechino, perché tanto la verità è solo quella diffusa dal Partito stesso. Ma la rimozione non confermata di due importanti volti della diplomazia internazionale della seconda economia del mondo è un segnale allarmante, sia sulla tenuta della leadership di Xi sia sulla credibilità del dialogo con funzionari di alto livello che possono sparire da un momento all’altro.
Ieri è stato il governo americano a far trapelare la notizia secondo la quale Li Shangfu, proprio come Qin Gang, sarebbe stato messo sotto indagine disciplinare. Ha saltato tutti gli ultimi eventi in agenda e sarebbe stato sollevato dalle sue responsabilità da ministro della Difesa. Che, a dire la verità, non sono molte: nella catena di comando della Repubblica popolare cinese, il comandante in capo delle Forze armate resta Xi, ma Li Shangfu era l’uomo della diplomazia militare – sanzionato sin dal 2018 dal governo americano per aver comprato dalla Russia i suoi famigerati caccia Su-35 e il sistema antiaereo S-400. La sua rimozione è l’ultima di una serie di purghe che hanno colpito, durante l’estate, tre generali del comando missilistico delle Forze armate. Lo stesso comando che un tempo era guidato proprio da Li, tanto che quando fu nominato ministro molti osservatori dissero che si stava dando molta importanza al settore missilistico e spaziale della Difesa.
Le purghe, ufficialmente condotte all’interno della campagna anticorruzione di Xi, possono voler dire due cose. Da un lato, Xi Jinping non sa scegliere i suoi collaboratori più vicini, il che rende la sua figura, soprattutto agli occhi degli altri vertici, più debole. Dall’altro, la corruzione endemica nelle Forze armate cinesi arriva fino ai vertici. Ma potrebbe anche esserci una terza spiegazione: potrebbe essere un messaggio di Xi Jinping ai suoi, in uno dei momenti più complicati per la Cina – sia diplomaticamente sia economicamente – per dire che nessuno può fare di testa sua, e nessuno è al sicuro.
Tutte e tre le spiegazioni sono allarmanti per le cancellerie occidentali, e soprattutto per l’America, che ha proposto più volte dialoghi di alto livello sulla Difesa alla controparte cinese, per attenuare tensioni, senza mai aver ricevuto una risposta positiva.