bombe nel caucaso
Attacco azero in stile putiniano agli armeni. E l'Italia con chi sta?
Si torna a combattere nel Nagorno Karabakh e Pashinyan teme il colpo di stato. Baku la chiama "operazione anti terrorismo", Erevan "pulizia etnica". Occhio agli affari fra Leonardo e l'Azerbaigian
A spaventare di più dell’“operazione antiterrorismo” lanciata la mattina di martedì 19 settembre dall’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh sono i possibili risvolti per la stabilità dell’intera regione del Caucaso meridionale. A Erevan, la capitale dell’Armenia, l’effetto dei colpi dell’artiglieria azera, che hanno causato due morti e alcune decine di feriti, si sono tradotti nella mobilitazione di chi chiede da tempo la testa del premier Nikol Pashinyan. Sono gli azeri ad attuare quella che gli armeni considerano “una pulizia etnica” nella terra dell’Artsakh, ma l’intento dialogante del premier, per di più fallito, ha fatto secondo molti da carburante. La sua manovra distensiva nei confronti di Baku lo scorso maggio si era spinta al riconoscimento della sovranità azera sull’enclave, a patto che la sicurezza della popolazione armena nella regione fosse garantita. La distensione era dettata dal fatto che in anni e anni di guerra contro gli azeri, i martiri erano sempre di più mentre i passi avanti per vedere riconoscere l’identità armena del Nagorno-Karabakh erano sempre meno. E poi c’era la Russia, l’alleato gigantesco che fino ad allora aveva garantito sostegno politico e militare a Erevan e che ora, invece, impegnata nella guerra in Ucraina, non garantiva più di tanto. Mosca è troppo “distratta” per ora e si è dimenticata di noi, diceva Pashinyan che, giocoforza, è stato costretto a spostarsi su posizioni più interlocutorie e ad accettare il cessate il fuoco del 2020 mediato dai russi.
Ora però potrebbe essere l’ala più intransigente di Erevan a essere pronta a fare pagare a Pashinyan il costo della moderazione. Forse è proprio per questo che, non appena gli azeri hanno sparato i primi colpi di artiglieria ad Askeran, una ventina di chilometri dalla capitale del Nagorno-Karanakh, Stepanakert, il premier armeno ha dichiarato pubblicamente che “sono già in corso diversi appelli al colpo di stato in Armenia”. Allora, i video delle proteste di Erevan che intonavano cori contro Pashinyan – “Nikol è un traditore”, urlavano — hanno preso il sopravvento su quelli dei colpi sparati dagli azeri contro i civili nel Nagorno-Karabakh. Lasciando spazio anche a teorie che si sono rincorse sui canali Telegram e che parlano di un tacito via libera garantito dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, al presidente azero Ilham Aliyev per l’offensiva armata nell’enclave, in modo da innescare un colpo di stato a Erevan. Almeno in via ufficiale, la diplomazia russa si è attivata, a suo dire per ristabilire il cessate il fuoco. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, si è detto preoccupato per l’escalation, facendo eco a Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri: “La Russia incoraggia le parti in conflitto a interrompere lo spargimento di sangue”.
Baku però ha fatto sapere che l’“operazione antiterrorismo” – un termine che ricorda molto quello usato dai russi per mascherare l’annessione del Donbas – non si fermerà finché le forze armate armene nella regione non si arrenderanno. Un non senso, rispondono da Erevan, perché non sarebbero presenti forze armate armene nell’enclave. Da mesi i residenti del Nagorno Karabakh sono assediati e affamati a causa della chiusura dell’unica via di accesso che li collega all’Armenia, il corridoio di Lachin, a cui si è aggiunto in queste settimane il blocco dei generi di prima necessità e dell’erogazione di gas ed energia elettrica. Sarebbe un piano studiato, dice Erevan, per “ripulire” l’enclave dai circa 120 mila armeni che da secoli abitano la regione.
Intanto, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in corso a New York, si è attivata anche la diplomazia occidentale. Sia l’Onu, sia l’Ue hanno chiesto la fine delle ostilità, mentre la Francia vuole una riunione urgente del Consiglio si sicurezza. L’Italia resta un passo di lato rispetto al resto della diplomazia europea. Lo scorso giugno, l’Armenia aveva protestato per la vendita alle forze armate azere di due aerei militari C-27J Spartan prodotti dalla nostra Leonardo. Un’operazione che ha seguito il vertice dello scorso febbraio fra l’ad della controllata italiana, Alessandro Profumo, e il presidente Aliyev e ancora prima il progetto avviato nel 2017 per la sicurezza del Southern Gas Corridor, che trasporta il gas azero in Puglia. Tre anni fa è arrivata anche la lettera d’intenti per la vendita a Baku del sistema di addestramento M-346. Una cooperazione consolidata che dura da tempo. E oggi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha postato su Twitter la foto del suo incontro a New York con l’omologo azero Jeyhun Bayramov, ricordando la “necessità di dialogo e moderazione per trovare una soluzione diplomatica in Nagorno Karabakh”.