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Gli aiuti privati in Libia, dove c'è una gestione da guerra e va tutto lento
I primi soccorsi, all’alba di lunedì scorso, sono arrivati a Derna con la Mezzaluna Rossa libica, organizzazioni non governative, associazioni locali, con i Boy Scout, con i volontari da tutto il paese. Quelli che sono mancati sono i invece i due governi. E di certo le divisioni non hanno aiutato né la prevenzione del dramma né la gestione del danno
“Non puoi immaginare l’estensione del disastro. Non possiamo confermare i bilanci, ci sono troppi corpi”. Salem Al Naas guida l’ufficio di comunicazione della Mezzaluna Rossa a Derna, la città libica travolta una settimana fa da un fiume di fango e detriti. Le sue parole arrivano spezzate attraverso una connessione difficile. Forse fra un paio di giorni, dice, si potrà capire realmente quanti sono i morti. Per ora, i numeri provvisori delle Nazioni Unite parlano di oltre undicimila vittime, diecimila dispersi.
I primi soccorsi, all’alba di lunedì scorso, sono arrivati a Derna con la Mezzaluna Rossa libica, organizzazioni non governative, associazioni locali, con i Boy Scout, con i volontari da tutto il paese, i privati cittadini. Chi non si è visto, nelle prime ore dopo il disastro, sono stati i due governi che da dieci anni si contendono il controllo della Libia: quello di Tripoli, a ovest, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello di Bengasi, a est, sostenuto tra gli altri dall’Egitto. “Ci sono voluti almeno due giorni di caos e confusione” prima di un reale intervento delle autorità locali, ci racconta al telefono dalla Svezia, dove lavora alla mappatura dei dati forniti dalle organizzazioni sul campo, Asma Khalifa. Secondo l’attivista e ricercatrice libica, i governi rivali reagiscono sempre come un’amministrazione di guerra: “Questo è quello che accade quando non costruisci nient’altro che milizie – dice riferendosi al dramma di Derna – I soldi vanno soltanto alla sicurezza. Il coordinamento tra i due esecutivi è iniziato soltanto martedì pomeriggio, con l’arrivo di ingegneri e tecnici”, spiega. Eppure, nella gestione degli affari quotidiani e della burocrazia di medio livello, in realtà i rapporti tra Tripoli e Bengasi esistono nonostante la rivalità politica: basti pensare a come sia la banca centrale, istituzione nazionale, a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici sia a est sia a ovest. Lo spiega anche Claudia Gazzini, analista dell’International Crisis Group, in queste ore sul campo nelle zone colpite dall’alluvione. “Sottobanco c’è cooperazione, prima di tutto umana ma anche politica, tra le due istituzioni. Stanno arrivando tanti camion qui a est dall’altra parte della Libia. Dubito però che questo si trasformi in un’alleanza politica. E’ troppo presto per dire che risvolti politici avrà questa tragedia”.
Di certo c’è che le divisioni della Libia non hanno aiutato né la prevenzione del dramma né la gestione del danno. Come ha raccontato la Bbc, le ricostruzioni dei residenti tradiscono confusione nei messaggi da parte delle autorità. Prima della rottura delle due dighe di Derna, quando i meteorologi prevedevano piogge senza precedenti, sia da est sia da ovest sarebbero arrivati messaggi contrastanti agli abitanti della città: cercate rifugio su alture o restate a casa. Si tratta di una tragedia dovuta a tre ragioni, spiega ancora Gazzini: un disastro naturale; la cattiva governance sia nella gestione del rischio immediato sia nei dieci anni di poca attenzione all’infrastruttura nazionale.
Si rincorrono inoltre sulla stampa internazionale accuse nei confronti degli apparati di sicurezza dell’est militarizzato, guidati dal generale Khalifa Haftar. Secondo il Guardian, per esempio, la presenza dei miliziani dell’est rallenterebbe invece di facilitare gli accessi dei soccorritori. E’ quanto raccontano anche le voci raccolte dalla ricercatrice Asma Khalifa: una presenza militare molto forte nelle aree colpite, strade punteggiate di posti di blocco, traffico verso Derna rallentato, scene di caos. “La militarizzazione dell’est della Libia non è nuova. La risposta di entrambi i governi a questo tipo di situazione è quella di montare checkpoint, limitare gli accessi…”, anche se altre fonti -- lo stesso portavoce della Mezzaluna Rossa di Derna, Salem Al Naas -- parlano di aiuti che stanno arrivando, nonostante tutto.
Da diversi giorni, l’accesso pubblico a Derna è però bloccato dalle autorità dell’est. Per raggiungere la città ferita, sia ai soccorritori sia ai media stranieri occorrono permessi speciali e il nullaosta dell’intelligence. La macchina della solidarietà internazionale si è comunque attivata fin da subito: italiani, spagnoli, francesi, turchi, egiziani e altri hanno inviato aiuti, “sanno come un est della Libia debole e afflitto sia infatti un problema per tutti”, spiega Gazzini. Fino a prima di questa tragedia sarebbe stato impensabile vedere in Cirenaica camion di aiuti della Turchia, sostenitrice a livello finanziario e militare del potere di Tripoli.
L'editoriale dell'elefantino