la versione di pechino
I diritti umani secondo Xi Jinping
La propaganda sui diritti umani "con caratteristiche cinesi" va in scena a Roma, con sostegno e megafono della Sapienza. Cronaca di un evento
Alla fine l’ex ministro di Grazia e Giustizia Oliviero Diliberto, oggi preside della Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza, al convegno sui diritti umani con caratteristiche cinesi non c’era, bloccato a casa per motivi di salute. Niente fotografia di rito con l’ambasciatore cinese a Roma, Jia Guide, e con l’ospite d’onore di ieri: Padma Choling, vicepresidente del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo cinese e pure presidente della Società cinese per gli studi sui diritti umani. Il “Seminario sino-europeo sui diritti umani” si è aperto ieri alle 9 in punto al Parco de’ Medici, lo Sheraton di via della Magliana a un’ora di auto dal centro di Roma, specialmente a quell’ora, e così è finita che a sentire l’apertura di Padma Choling, sotto sanzioni americane già da qualche anno per violazione dei diritti umani, non c’era una gran folla. Mentre nella sala accanto un gruppo più nutrito di medici e professionisti discuteva del “ruolo della medicina specialistica”, il presidente della Società cinese per gli studi sui diritti umani ha aperto i lavori di un seminario fiume – circa 80 partecipanti iscritti, tre sessioni di lavoro, orario di chiusura previsto: dopo le 17 – dando tre o quattro spunti che si ripeteranno come un mantra, sempre uguali, nel corso di tutta la giornata: “La mentalità da Guerra fredda, l’egemonismo, le sanzioni unilaterali e l’utilizzo dei diritti umani come armi hanno un impatto sostanziale sulla governance globale”.
L’ambasciatore cinese parla di “diritti umani” da combinare “con la realtà specifica della Cina”, dice che la Via della seta promuove il vero multilateralismo e che questa attenzione di Xi Jinping ai diritti “ha consentito al popolo cinese di avere diritti per tutte le minoranze”. Poi è il turno di Lord Neil Davidson, laburista scozzese ed ex parlamentare a Londra, che una decina di anni fa visitò il Tibet con un viaggio organizzato da Pechino, in pratica un Truman show in cui tutti i tibetani sono felici e contenti, come gli uiguri nello Xinjiang. Interviene da remoto: “Ci sono diversi tentativi di trasformare in un’arma il tema dei diritti umani per giustificare le sanzioni”. Dopo il bulgaro Nako Stefanov, presidente del Bulgarian National Peace Council che a fine aprile ha organizzato una protesta “contro la guerra” a Sofia e dove il messaggio più frequente sui manifesti era “yankee go home”, c’è la pausa caffè.
Il professore che ha letto il discorso al posto di Oliviero Diliberto l’ha fatto per secondo, dopo Padma Choling, che nel cerimoniale asiatico vuole dire molto, vuol dire: padrone di casa. Gli domandiamo come mai, però, i loghi della Sapienza siano spariti dal materiale del seminario, e non vi sia traccia dell’evento sul sito della Facoltà di Giurisprudenza. “Siamo interessati, partecipiamo volentieri quindi sì, partecipiamo, ma hanno fatto tutto loro”. Loro sono appunto la “Società cinese per gli studi sui diritti umani”, ente accademico che Pechino sta usando per promuovere la sua nuova idea di diritti umani, che – se non l’avevate capito – non sono uguali per tutti.
Proprio ieri il Quotidiano del popolo ha messo in prima pagina la traduzione del libro sui “discorsi pubblici di Xi sul rispetto e la protezione dei diritti umani”, e dunque domandiamo al professore se non sia un po’ contraddittorio che la Facoltà di Legge della Sapienza parli di diritti umani con uno dei governi che più li vìola al mondo secondo tutte le classifiche internazionali, tranne quelle cinesi. “Sa cosa, bisogna parlare, parlarsi, tutte le volte che sono stato in Cina io ho capito qualcosa sui cinesi, per esempio: bevono l’acqua calda!”.
La giornata va avanti così, senza che nessuno possa intervenire a fare delle domande o a porre questioni. A un certo punto Fabio Marcelli, dirigente di ricerca all’Istituto di studi giuridici internazionali del Consiglio nazionale delle ricerche, dice che “i diritti umani vanno interpretati senza indulgere in distinzioni artificiose”, e pensiamo: bene, si immola lui, finalmente glielo dice. E invece no: questa differenza la fa l’occidente ed è tutta colpa del neoliberismo, dice Marcelli. Subito prima Fu Zitang, docente di Legge alla Southwest University of Political Science & Law di Chongqing, aveva detto che uno dei requisiti fondamentali per il godimento a pieno dei diritti è “l’adesione al Partito comunista cinese”.
Certa propaganda è così evidente da risultare quasi grottesca, perfino ironica. Più grave il fatto che sia proprio l’Università la Sapienza a promuoverla, senza alcun tipo di discussione. E del resto l’università romana, che ha all’attivo 66 accordi con diverse università cinesi, tiene molto all’amicizia Italia-Cina. Diliberto in particolare, che appare spesso nelle tv di stato cinesi a difendere il modello di Pechino, nel 2016 ha firmato due accordi con la Zhongnan University di Wuhan e la Xiamen University, e tre anni dopo è volato proprio a Wuhan, dove è diventato direttore del neonato Istituto italo-cinese “finanziato dalla Cina”, si legge sul sito della Sapienza. Con lui c’era Luca Di Donna, l’avvocato ex socio di Giuseppe Conte, che era diventato preside del corso di laurea. “L’Italia dovrebbe cogliere l’opportunità di continuare a partecipare in modo profondo alla Via della seta”, ha detto Diliberto a marzo alla Cctv. E chissà se la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, nella sua visita a Pechino programmata tra qualche settimana, non si occuperà anche di questo.
I conservatori inglesi