pasticcio comunicativo

Tajani inciampa sulla Via della seta, ma l'offensiva cinese a Roma prosegue dritta

Giulia Pompili

"Piani dell'Italia per uscire", dice il vicepremier a Fox, poi aggiusta il tiro. Timing sbagliatissimo: Palazzo Chigi sta ancora negoziando con Pechino. E infatti Santanchè arriva a Hong Kong, la delegazione di parlamentari "amici della Cina" vola a Yangzhou, e Padma Choling va a Montecitorio

Neanche due mesi fa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ospite alla Fox della superstar del giornalismo economico Maria Bartiromo in occasione della sua visita a Washington, alla domanda su cosa farà l'Italia con la Via della Seta con la Cina, se rinnoverà l'accordo oppure ne uscirà, rispose che la decisione definitiva ancora non c'era: “È qualcosa che deve essere discussa in Italia con il Parlamento e con gli attori”. Un mantra che viene ripetuto spesso da Palazzo Chigi per prendere tempo, negoziare con i cinesi fino all'ultimo, anche se nessuno sa ancora quando e come si effettuerà questa discussione parlamentare.

  

L'altro ieri, da Bartiromo, c'era il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, a New York per partecipare all'Assemblea generale dell'Onu, che in un'intervista piuttosto confusa, tra le altre cose, ha detto che la colpa di quella firma è del centrosinistra italiano (falso, dato che al governo all'epoca c'era il Movimento 5 stelle e la Lega) e forse non ha ben capito quando la giornalista in una domanda ha chiesto se davvero la colpa del Covid in Italia fosse la Via della seta, che ha intensificato l'arrivo di cittadini cinesi in Italia.

 

Ma la frase pronunciata da Tajani che ha fatto notizia a livello internazionale non è stata “siamo amici della Nato, siamo amici dell'Europa, siamo amici dell'America”. È che a un certo punto si è fatto scappare: “Meloni ha parlato alla Cina dei piani dell'Italia per uscire dalla Via della seta”. Ma come: e il passaggio parlamentare che serve a dare legittimità politica alla decisione? E le discussioni con “gli attori”? E le cautele diplomatiche per non irritare la Cina? La questione deve essersi molto complicata se subito dopo, parlando con i giornalisti, Tajani è stato costretto a correggere il tiro: “Ora vedremo il da farsi anche attraverso l’opinione del Parlamento: è giusto che ci sia un percorso parlamentare quando si parla di accordi così importanti”. Esattamente il genere di pasticcio comunicativo che non piace ai cinesi, e che rischia di complicare l'uscita dalla Via della seta.

 

Durante il suo incontro a Delhi con il premier cinese Li Qiang, Meloni ha probabilmente anticipato una decisione che dovrà essere formalizzata in modi ancora oscuri – nel testo del memorandum non si specificano i tecnicismi, si parla solo di una “comunicazione” all'altra parte, ma come?, con letterina?, piccione viaggiatore? – ma è difficile pensare che abbia lasciato a Tajani l'ufficialità definitiva, senza ambiguità, ben tre mesi prima del giorno in cui si rinnova automaticamente l'accordo con la Cina.

 

Oltretutto, il timing è quantomai sbagliato, perché siamo nel mezzo di un complicato lavorìo diplomatico tra Roma e Pechino. Ieri in Cina è arrivata Daniela Santanchè, ministra del Turismo, che è a Hong Kong a tentare di promuovere la sua “Open to meraviglia” alle istituzioni cinesi, e già da qualche giorno una nutrita delegazione dell’Associazione “Amici della Cina” del Parlamento italiano, di cui fanno parte pure Roberto Pella di Forza Italia e Bartolomeo Amidei di Fratelli d'Italia, sta viaggiando tra Pechino e Yangzhou. Una visita molto politica: per l'occasione, hanno incontrato nella capitale cinese anche Guo Yezhou , viceministro della divisione internazionale del Partito comunista cinese. Guo è in pratica il braccio destro di Liu Jianchao, esponente del Partito che a fine giugno era venuto in Italia in missione diplomatica per negoziare sulla Via della seta e aveva incontrato tutti, compreso Tajani.

 

L'offensiva diplomatica cinese prosegue in Italia poi, con l'arrivo di una altrettanto nutrita delegazione di accademici che prima di essere accademici, però, sono politici: Gao Xian, per esempio, uno degli ideologi cinesi più importanti dell'èra contemporanea, è stato a Roma per qualche giorno questa settimana. Gao fa parte del Comitato centrale del Partito comunista cinese ed è a capo della Chinese Academy of Social Sciences, un centro di ricerca governativo che fa parte del Consiglio di stato ma che, secondo molti, sarebbe anche molto legato al ministero della Sicurezza cinese. A Roma e Milano è stata poi accolta la delegazione della Società cinese per gli Studi sui Diritti Umani guidata dal suo presidente, Padma Choling, vicepresidente del Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del popolo e sanzionato sin dal 2020 dagli Stati Uniti per le violazioni dei diritti umani a Hong Kong. Ieri il folto gruppo di esperti cinesi ha preso parte a un “seminario” organizzato con l'Università La Sapienza (una cronaca della giornata si legge qui), e oggi parte di quella delegazione è arrivata a Montecitorio, dopo aver richiesto un incontro con Giulio Tremonti, presidente della Commissione esteri della Camera.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.