Rapporti internazionali
Il presidente armeno al Foglio: basta dare armi all'Azerbaigian
Vahagn Khachaturyan è preoccupato per la cooperazione militare tra Italia e il governo azero, nel mezzo del conflitto in Nagorno-Karabakh. "Meloni? Spero venga presto da noi"
Tra Roma e Yerevan “c’è una solida amicizia” ma mentre si riaccende il conflitto in Nagorno-Karabakh l’Armenia “non può nascondere le sue preoccupazioni per la cooperazione militare tra Italia e Azerbaigian, e per gli accordi da 1,5 miliardi di euro per la vendita di armi che, con ogni probabilità, verranno un giorno usate contro il Nagorno-Karabakh o contro la Repubblica d’Armenia”, dice in un’intervista al Foglio il presidente della Repubblica d’Armenia, Vahagn Khachaturyan.
Il suo viaggio in Italia a luglio e l’incontro con Sergio Mattarella e Antonio Tajani hanno convinto Khachaturyan della solidità delle relazione tra Roma e Yerevan, paesi “accomunati da una storia antica e una comune passione per la democrazia”, spiega il capo di stato, che però si augura “che certi accordi di cooperazione non vengano firmati”. “Sappiamo che Italia e Azerbaigian hanno ottimi rapporti, come d’altronde molti altri paesi europei, a causa anche della dipendenza dal gas azero. L’energia è un fattore molto importante oggi, soprattutto dopo il conflitto tra Russia e Ucraina, tuttavia ideologicamente tra noi ci sono moltissimi valori condivisi a partire dal fatto di essere due democrazie, una valore che non può e non deve essere sminuito”, spiega Khachaturyan, che si augura anche che una visita di Meloni in Armenia possa presto avere luogo: “Ho avuto la possibilità di parlare con lei solo un paio di minuti in cui le ho fatto presente che sarebbe benvenuta, spero che venga presto”.
L’ex sindaco di Yerevan, eletto capo di stato nel 2022, sottolinea l’importanza dell’attenzione della comunità internazionale sul conflitto in corso, “con l’ultimo attacco azero le nostre peggiori previsioni si sono avverate, è chiaro che l’Azerbaigian sta facendo di tutto per eliminare gli armeni del Nagorno-Karabakh”, dice Khachaturyan. Secondo il presidente armeno le garanzie del suo omologo azero Aliyev non possono essere considerate sufficienti: “Abbiamo bisogno di meccanismi internazionali e l’Ue può essere un garante poiché ha già dimostrato con le sue attività nella regione la sua imparzialità”. Un garante che però deve manifestarsi al più presto visto che “la minaccia di ulteriori atrocità non è scomparsa: l’Azerbaigian potrebbe da un momento all’altro tentare di continuare la sua politica di pulizia etnica del Nagorno-Karabakh”, sottolinea il presidente.
Se l’Armenia è alla ricerca di un garante per la sicurezza è anche perché della Russia, che tradizionalmente ha giocato il ruolo dell’arbitro nel Caucaso, non si fida più: “Abbiamo avuto molti accordi con la Russia, incluso anche il format della Csto, dal 1990 a oggi, tutte le nostre attività di sicurezza si sono basate su questi accordi e sulla fiducia che qualora si fosse verificato un attacco al territorio della Repubblica di Armenia ci sarebbe stata una reazione russa, la realtà però ha distrutto queste aspettative”, spiega Khachaturyan.
L’escalation degli ultimi giorni infatti ha assestato una spallata finale a una popolazione stremata da mesi di assedio e carenza di genere di base, poiché l’accesso al Nagorno-Karabakh dall’Armenia tramite il corridoio di Lachin, che doveva essere garantito proprio dalle forze di interposizione russe stando al cessate il fuoco del 2020, è passato senza colpo ferire sotto il controllo azero alcuni mesi fa. “Stiamo cercando di capire perché le forze di pace russe non sono state in grado di mantenere aperto il corridoio, se non hanno potuto o non hanno voluto farlo, quello che è chiaro è che vediamo alcuni cambiamenti nella relazione tra Mosca e Baku”, sottolinea il capo di stato.
Un avvicinamento che pone un serio rischio per l’Armenia ma offre anche un cambio di paradigma regionale con un arretramento di Mosca e un nuovo ruolo per Bruxelles nel Caucaso. “Dobbiamo decidere ora come rafforzare ulteriormente il nostro sistema di sicurezza”, spiega Khachaturyan, e per farlo l’Armenia non può che guardare all’Europa. Guarda verso Roma e Bruxelles, Yerevan, a una condizione: basta vendere armi a chi le usa contro di noi.