Il caso

Una ferrovia e il simbolo della trappola cinese in Ungheria

Giulia Pompili

Il treno dei desideri di Orbán si ferma sulla Via della seta. Lezioni per gli altri entusiasti in Europa

La Cina non ha più soldi da investire nella Via della seta in Europa, e ad accorgersene adesso è anche il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Sono pochi i politici in Europa che sono caduti nella trappola delle promesse di Pechino: l’ingresso nel grande progetto strategico d’influenza cinese avrebbe dovuto portare investimenti e infrastrutture in cambio di fedeltà politica. Per ora, a Orbán resta solo il secondo punto. E per capire il motivo basterebbe guardare a uno dei progetti simbolo della partnership tra Budapest e Pechino, la ferrovia Budapest-Belgrado, quella che avrebbe dovuto connettere le capitali dei due paesi più idealmente vicini alla Cina nel quadrante europeo, Ungheria e Serbia – un tratto di strada che oggi si percorre con quattro ore di automobile – i cui lavori sono bloccati da mesi. Il pezzo fondamentale del grande progetto strategico cinese in Europa è diventato, suo malgrado, il simbolo della difficoltà di lavorare con gli investimenti cinesi, per una questione di soldi, certo, ma anche di sicurezza nazionale e di standard europei. L’economia cinese è in affanno, e i soldi per i progetti molto lontani, a lunghissimo termine, sono i primi a essere tagliati.

 

E infatti la promessa di rinnovare i 350 chilometri di ferrovia trasformandoli in una rete ad alta velocità entro il 2025 è già praticamente fallita. Nel 2019, l’anno dell’offensiva strategica cinese in Europa – che si concretizzò anche con l’ingresso dell’Italia nella Via della seta – venne firmato il contratto per la costruzione della ferrovia ungherese, e ad aggiudicarsi l’appalto per i lavori era stata una società del milionario amico d’infanzia di Orbán, Lorinc Mészáros, in consorzio con due società cinesi. Il budget iniziale era di 2,1 miliardi di euro, finanziati per l’85 per cento dalla Cina sotto forma di prestiti a un tasso d’interesse che resta tutt’oggi segreto, ma già quattro anni fa tutti i giornali ungheresi – anche quelli più vicini al partito di Orbán, Fidesz – lamentavano il fatto che il budget sarebbe stato di sicuro molto più alto, praticamente l’infrastruttura più costosa della storia d’Ungheria, ma soprattutto poco proficuo, viste le priorità di altre opere pubbliche. Per Pechino, però, collegare con l’alta velocità Belgrado a Budapest aveva un senso molto preciso: il progetto finale era unire quel segmento a una ferrovia che partisse dal porto del Pireo in Grecia (la cui gestione è da anni ormai nelle mani del colosso cinese statale Cosco), e poi Atene, Skopje in Macedonia, passando per la Serbia e Budapest: la prima porta del mercato cinese in Europa. 

 

Di recente il rallentamento dei lavori di costruzione della Budapest-Belgrado è diventato molto evidente. Ci sono stati gli anni di pandemia, durante i quali Pechino ha sospeso tutti i progetti all’estero, i lavori sono partiti ufficialmente due anni fa ma senza grande convinzione al di là degli annunci politici. Qualche giorno fa il media ungherese Telex ha scritto che la società di Mészáros di recente ha  spostato investimenti e forza lavoro dalla ferrovia Budapest-Belgrado a quella Budapest-Gyor, una città a un’ora dalla capitale verso ovest, sul confine con la Slovacchia: un tratto ferroviario molto più frequentato e strategico per l’Ungheria, che aveva urgente bisogno di riqualificazione. C’è l’inflazione che sta facendo aumentare vertiginosamente i costi, e infine un’altra questione, che ha costretto il governo di  Orbán a riaprire i negoziati con Pechino – il primo ministro ungherese volerà al terzo Forum della Via della seta il 17 ottobre prossimo, e secondo diversi media la famigerata ferrovia sarà tra i dossier da affrontare con gli omologhi asiatici. Il problema fondamentale riguarda la sicurezza delle linee: né  Mészáros né le società cinesi coinvolte nei lavori di costruzione hanno le capacità di costruire binari a norma per lo standard europeo di controllo, lo European Train Control System. L’eventualità di usare tecnologia per l’alta velocità made in China vorrebbe dire, di fatto, chiudere il sistema ferroviario ungherese dal resto d’Europa: Orbán ha ottenuto la licenza europea per la Budapest-Belgrado, e teoricamente è tenuto ad accogliere tutte le raccomandazioni di Bruxelles. Ma c’è di più: secondo quanto riportato da VSquare, il governo tedesco avrebbe fatto pressioni su Budapest affinché non venga usata tecnologia cinese nelle parti più sensibili della rete, per esempio nel sistema di segnalamento ferroviario e nell’Automatic train control, il sistema automatizzato di sicurezza per la circolazione dei treni. La Germania fa pressioni per promuovere le sue aziende, ma in realtà esiste un problema di sicurezza concreto, nel caso in cui Pechino avesse la capacità di interferire su un sistema ferroviario europeo. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.