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Un'anomalia

Il miracolo del popolo ebraico è essere sopravvissuto, celebrando la vita

Yasha Reibman

La carneficina perpetrata dai terroristi di Hamas non distruggerà Israele. Rappresenta invece l’ennesima puntata della storia del popolo ebraico, che ha sviluppato una straordinaria capacità di elaborare questi lutti e continuare ad andare avanti. Più forte

La carneficina perpetrata dai terroristi di Hamas non distruggerà Israele, rappresenta invece l’ennesima puntata della storia del popolo ebraico. Un popolo che ha sviluppato una straordinaria capacità di elaborare questi lutti e continuare a celebrare la vita. Nei 3500 anni, costellati di persecuzioni, l’elemento anomalo, il miracolo se volete, non è che il popolo ebraico sia stato oggetto di numerosissimi tentativi di sterminio. L’antico Egitto ha schiavizzato il popolo ebraico e Amalek lo ha attaccato nel deserto. Il regno degli ebrei è stato sconfitto dai babilonesi, che hanno distrutto il Tempio a Gerusalemme, ma gli ebrei sono tornati e lo hanno ricostruito. Gli ellenisti hanno combattuto strenuamente il mondo ebraico. Gli ebrei hanno perso contro i romani, che esasperati dalla tenacia della resistenza ebraica hanno distrutto il secondo Tempio e disperso gli ebrei in tutto l’impero. Eppure, prima o poi, tutti i popoli dell’antichità sono stati sconfitti militarmente e assoggettati dal vincitore di turno o più lentamente sono scomparsi culturalmente. 

 

L’anomalia degli ebrei, il miracolo, è che il popolo ebraico sia sopravvissuto fino a oggi. Gli egiziani di oggi non sono gli egizi di allora, hanno un’altra religione, celebrano altre feste, sognano sogni differenti e solo pochi studiosi leggono i geroglifici. I babilonesi e la loro cultura sono scomparsi. Gli dei greci vengono venduti come personaggi playmobile ai piedi dell’Acropoli ad Atene. Gli ayatollah in Iran snobbano Serse. Gli antichi romani, nonostante le versioni che traduciamo nei licei, nonostante le fantasie mussoliniane, restano lontanissimi e diversi. Gli ebrei invece sono rimasti e oggi festeggiano le stesse feste, seguono le stesse regole, discutono gli stessi testi, si accapigliano sulle interpretazioni del passato e ne cercano di nuove. Nello stesso tempo sono riusciti a integrarsi con la modernità e, non appena hanno potuto, hanno dato il loro contributo al paese dove abitavano. Senza andar lontano, tra i mille di Garibaldi il numero di ebrei è spropositato, nel Risorgimento italiano il contributo ebraico è enorme. Idem nella Prima guerra mondiale. Gli ebrei sono indubbiamente un’anomalia.

 

A. B. Yehoshua nel romanzo “Viaggio alla fine del millennio” racconta l’epoca del “mille e non più mille”, un periodo di tensione e rinnovate persecuzioni anti ebraiche, sia in Europa sia nei paesi musulmani. Uno dei protagonisti decide di convertire i figli per consentire loro di sopravvivere. Questo destino – per scelta o per costrizione con le conversioni forzate – è toccato probabilmente alla maggioranza degli ebrei, ma anche questo viene elaborato; delle antiche dodici tribù del popolo ebraico si dice che ne restino solo due. Dove sono finite le altre? Assimilate. Sopravvissuti in quanto individui, queste persone sono scomparse in quanto ebrei. Il popolo ebraico eppure è andato avanti, per la decisione di volta in volta di minoranze che hanno deciso di restare ancorate alla tradizione e alle leggi tramandate di generazione in generazione. E le feste ebraiche, si dice scherzando, in sintesi possono anche essere raccontate così: “Hanno provato a sterminarci, non ci sono riusciti, festeggiamo bevendo e mangiando”. L’elemento persecutorio, che pure viene raccontato ai bambini, viene così bonificato dalla gratitudine per essere sopravvissuti, per esserci ancora in quanto ebrei, in quanto collettività. La gioia che siamo chiamati a provare nonostante la precarietà dell’esistenza. E d’altra parte questo è qualcosa che accomuna ogni essere umano. 

Il 1948, la nascita dello stato ebraico, rappresenta una novità tanto per gli ebrei, quanto per il mondo non ebraico, soprattutto poiché cambia radicalmente il rapporto tra i due. Se per quasi duemila anni gli autori dei pogrom non avevano nulla da temere, improvvisamente – come sintetizzava il giornalista e diplomatico Vittorio Dan Segre riprendendo gli insegnamenti del rabbino Joseph Soloveitichik – uccidere un ebreo non è più gratis, c’è un prezzo da pagare.

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