Sulla strada 232
La scia dell'orrore lasciata da Hamas nei kibbutz di Israele
Più di mille morti, la strage di bambini a Kfar Aza. Nella mensa di Beeri, cento corpi accatastati. I carri armati in fila
Sderot, dalla nostra inviata. Sderot è a un chilometro dalla Striscia di Gaza, quindi se un razzo sparato da Hamas nella città di Ashkelon fa scattare le sirene dandoti dieci o quindici secondi di anticipo per correre nel bunker, a Sderot i secondi a disposizione sono zero. I cadaveri degli abitanti sono stati portati via in grandi sacchi bianchi, ma i muri sono ancora imbrattati dal sangue di chi è stato giustiziato tra sabato e domenica. Il commissariato è carbonizzato e una ruspa israeliana è al lavoro per demolire del tutto una struttura irrecuperabile – ma qualcuno, quando i miliziani sono andati via, ha pensato comunque di issarvi sopra una bandiera israeliana pulita.
Le strade sono deserte, tranne che per un uomo che è uscito dal bunker a controllare lo stato del suo capannone in fiamme appena colpito da un razzo e per i soldati. Poco più a sud, scendendo lungo la strada che costeggia il confine con Gaza, c’è il kibbutz Kfar Aza e la sua fossa comune a cielo aperto che comprende circa duecento corpi, alcuni legati, alcuni decapitati e alcuni di neonati secondo l’ong Zaka, che si occupa anche dell’identificazione dei morti. “Un crossover tra Bucha e il Bataclan”, è una delle espressioni che gli israeliani hanno usato fino a ieri per spiegare agli stranieri cosa fosse appena successo qui, dopo Kfar Aza hanno smesso perché il paragone non funziona più. Ieri i morti contati hanno superato i mille.
Subito sotto quello di Kfar Aza c’è il kibbutz di Beeri, e Yehuda Simon che piange perché ha appena scoperto che suo fratello è tra i più di cento corpi trovati accatastati dentro la mensa della comune. Yehuda racconta che ha dovuto aspettare i risultati del test del Dna perché riuscire a riconoscere suo fratello guardandolo in volto non era un’opzione. In Israele c’è una tradizione: i bambini nei kibbutz spesso non dormono a casa con i genitori ma in delle specie di collegi interni, quindi vivono e crescono tra coetanei. Yossi spiega: “Tanti ragazzi delle nostre forze speciali vengono dai kibbutz, sono cresciuti abituati all’indipendenza da mamma e papà che rafforza il carattere e soprattutto allo spirito di squadra. Quello che è successo sabato, il fallimento di sabato, è un inferno per loro, ma essere finiti tra i cadaveri dei bambini dei kibbutz credo abbia reso tutto questo dolore immondo ancora più travolgente”.
La strada 232 che costeggia il confine con la Striscia è una buona sintesi di Israele in guerra: a sinistra c’è un campo giallastro con più di venti carri armati in fila che si allenano per un’invasione assieme alla fanteria, a destra c’è il parco dove si è tenuto il rave – ci sono ancora le tende psichedeliche fucsia e arancioni, le borsette lasciate a terra nella fuga e l’auto di uno dei partecipanti con i vetri forati dai proiettili all’altezza del volto del guidatore. Ahuva Mayzel non trova sua figlia Adi, che ha 21 anni, che sabato mattina ballava in questo parco ma che adesso non si sa se sia morta o sia stata trascinata fino a un rifugio di Hamas dentro Gaza. Nella tensostruttura di plastica dove sono stati sdraiati i duecentocinquanta corpi dei partecipanti uccisi alla festa, Ahuva non ha riconosciuto un tatuaggio, un orecchino o il volto di Adi e da due giorni ha cominciato a ricevere strane telefonate – di cui però può raccontare i dettagli soltanto alla polizia israeliana.
Sulla strada 232 ci sono ancora i cadaveri sull’asfalto di combattenti di Hamas, due sono stati uccisi di recente quando un gruppo di arabi israeliani di religione musulmana h indicato la loro posizione ai soldati – anche loro arabi israeliani – appena sono arrivati sul posto per liberarli. Un militare dice di non conoscere i piani dei generali, ma che secondo i suoi calcoli e la sua esperienza per l’invasione di Gaza bisogna prima ammassare ancora più truppe e più mezzi, e bisogna aspettare che il nemico sia ancora più fiaccato dalle bombe. Questa volta gli aerei israeliani stanno attaccando gli edifici della Striscia senza mai dare il preavviso con un colpo di avvertimento, come invece hanno fatto spesso in passato. Hanno colpito anche una sede della Mezzaluna Rossa (la Croce Rossa dei paesi islamici), un mercato, un campo profughi. Gaza è assediata: Israele l’ha scollegata per tagliare i rifornimenti di acqua e di elettricità. Uscire dalla Striscia è quasi impossibile, chi la abita potrebbe provare a fuggire in Egitto, ma quel breve pezzo di confine è stato colpito e il valico per il momento è chiuso. Ieri il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha detto: “Ho allentato tutte le restrizioni. Ci stiamo muovendo verso un’offensiva totale”. Gli Stati Uniti hanno risposto chiedendo “azioni proporzionate” e l’Unione europea “il rispetto del diritto internazionale”.
Cose dai nostri schermi