il voto

La Polonia si mette in fila per votare

Oggi i polacchi votano per rinnovare il Parlamento e anche per un referendum sui migranti voluto dal governo

Micol Flammini

I primi dati mostrano l'affluenza in crescita rispetto agli anni passati. Un giro per i seggi di Varsavia, tra chi dice che è arrivato il momento di cambiare e chi attacca adesivi con su scritto: PiS = aumento dei prezzi 

Varsavia, dalla nostra inviata. Il meteo non è un fattore secondario quando si tratta di votare in Polonia, la pioggia può essere un  dirimente: se piove, si resta a casa. Non piove oggi a Varsavia, è fresco e le file fuori dai seggi sorprendono molto i varsaviani, che prendono il loro posto, ordinati, e aspettano di entrare. Ci sono famiglie, amici, qualcuno si è portato i cani. Qualcuno decide di andare a votare vestito con i colori della bandiera polacca. La sfida questa volta sta anche nei numeri dell’affluenza, c’è un dato da battere, quello del 1989, quando Solidarnosc poté partecipare alle prime elezioni. Due signore anziane uscite dal seggio aperto dentro al Palazzo della Cultura e della Scienza si reggono l’una all’altra, scrutano la fila con aria di soddisfazione. Vivono non distanti dall’edificio che Stalin offrì in sgradito regalo alla città e dicono che tutta quella gente è “incredibile”. Loro c'erano nel 1989 e si lamentano del fatto che pure allora i polacchi votarono in pochi: hanno ragione, l’affluenza non è mai stata molto alta durante le elezioni in Polonia. “Siamo per il cambiamento, fa bene. Non è possibile che prima un fratello e poi un altro, hanno fatto di tutto, presidenti e premier”, dicono senza nominare i fratelli Kaczynski, l’ex presidente Lech morto durante l’incidente aereo del 2009 e il leader del Pis Jaroslaw. Le due signore non danno alla parola “cambiamento” un colore, un aggettivo, ma ripetono che per il bene della Polonia è il momento, dopo otto anni, di dare un segnale. 

Per il centro, attaccati ai lampioni, ai semafori, ai cartelli si nota spesso un adesivo rosso con la scritta PiS = aumento dei prezzi. La forza del partito che governa in Polonia dal 2015 erano sempre state l’economia e la crescita del paese, che continua a crescere ma che in questi ultimi mesi soffre come tutto il resto dell’Europa per i problemi legati all’inflazione e le misure prese dal governo e dalla Banca centrale sono state criticate dall’opposizione in campagna elettorale. L’opposizione guidata da Donald Tusk con la sua Koalicja obywatelska ha tirato fuori argomenti concreti, che ogni polacco sente nella sua vita quotidiana in modo diretto. Non ha rinunciato agli appelli alla democrazia, all’europeismo, alla posizione internazionale della Polonia, ma ha spostato l’attenzione anche su argomenti che tutti potevano sentire, per togliersi di dosso anche il timbro da movimento delle città che il PiS gli aveva messo addosso. 

 

 

Tra le bandiere che spuntano ovunque, i polacchi oggi stanno votando non soltanto per rinnovare il Parlamento, ma il governo per oggi ha indetto anche un referendum per esprimersi sui migranti. Sono quattro quesiti in cui ai cittadini viene domandato se sono d’accordo con il sistema delle quote previsto dall’Unione europea. Il PiS ha cercato di concentrare la campagna elettorale sui migranti, oscurando altri argomenti, e assicurandosi che così questo referendum dal sapore euroscettico riuscisse a ottenere il quorum. Anni fa anche Viktor Orbán in Ungheria indisse un referendum sui migranti, ma gli ungheresi non andarono a votare. Per evitare lo stesso scenario, il governo polacco ha unito i due voti, nonostante le proteste dell’opposizione, che ha invitato gli elettori a non accettare la scheda del referendum. 

 

Le file fuori dai seggi e i primi risultati sull'affluenza indicano che forse la Polonia potrebbe registrare una partecipazione più alta anche del 1989. Per il momento sono le regioni tradizionalmente legate all’opposizione quelle con l’affluenza più alta, ma sia la città sia la campagna sembrava attendere questo voto con un’ansia inconsueta. 

 

(foto di Micol Flammini)

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)