La sinistra olandese si piega alle rettifiche degli elettori in rivolta contro Israele
L'equilibrio della nuova alleanza progressista è stato messo a repentaglio dalla situazione in Medio oriente. E il problema è una base elettorale e di partito tradizionalmente filopalestinese
La nuova alleanza dei progressisti olandesi si è spaccata a causa dell’attacco di Hamas a Israele. All’inizio, Frans Timmermans e Jesse Klaver, i leader di PvdA e GroenLinks, avevano definito gli attacchi di Hamas “un crimine di guerra che merita la più severa condanna”, aggiungendo con opportuna durezza che “niente può legittimare quanto accaduto: Israele ha tutto il diritto di difendere sé stesso e i suoi cittadini dal terrorismo”. È bastata una settimana per mandare in tilt i migliori propositi, la base è insorta dapprima sui social, poi per vie ufficiali. Sabato a Rotterdam, al primo congresso congiunto dei due partiti, i 5cinquemila presenti hanno applaudito le due parole gridate sul palco da una giovane attivista verde: “Palestina libera”.
Soltanto qualche giorno prima, tre membri di PvdA-GL avevano mandato ai loro leader una lettera aperta fin troppo eloquente. “Disapproviamo la violenza di Hamas”, si legge nel testo pubblicato dal Telegraaf: “Non vi chiediamo di condonarla, ma di fornire una descrizione onesta della situazione spiegando le origini contestuali della violenza. E cioè il fascismo e lo stato di apartheid di Israele”. Timmermans non ha rettificato né risposto ufficialmente alla lettera. Klaver nemmeno, nonostante la crescente pressione esercitata da GroenLinks – tradizionalmente più filopalestinese. Il primo risultato è che Kauthar Bouchallikht, influente deputata dei Verdi, ha deciso di ritirarsi dalla lista dei candidati per le prossime elezioni: in questi giorni manifestava al fianco di bandiere che equiparavano la stella di David alla svastica nazista – con lo slogan slogan “smettete di fare quel che Hitler ha fatto a voi”. Il secondo è che per evitare il collasso dell’alleanza i consigli d’amministrazione dei due partiti hanno formulato una mozione congiunta il più smussata possibile sulla situazione in medio oriente per non perdere consenso interno.
Che lo scritto presentato al congresso abbia ottenuto il 96 per cento di voti a favore non è una buona notizia. La posizione aggiornata di PvdA-GL sottolinea che “l’attacco di Hamas resta odioso e le vittime hanno la nostra solidarietà; tuttavia, la punizione collettiva degli abitanti di Gaza va contro il diritto internazionale e deve cessare immediatamente”. Ma non è finita qui. Tra le varie proposte di giornata, i militanti hanno deliberato per inserire all’interno del programma elettorale l’abolizione della monarchia olandese. “Un antiquato sistema di disuguaglianza”, dichiarano i sostenitori dell’emendamento, “contraddistinto da un passato colonialista e, nella figura del principe Bernhard dei Paesi Bassi, filo nazista” – e pazienza se l’antisemitismo di oggi riscuote scarsa simpatia. È passato il sì con il 52,84 per cento. Con malcelato imbarazzo, Timmermans ha commentato che “la questione monarchica non è in cima alla mia lista delle priorità”. Ha parlato di “massima priorità”, invece, riguardo a “una soluzione pacifica duratura per il medio oriente e il fronte ucraino: se andremo al governo lavoreremo in questa direzione con tutti i nostri sforzi diplomatici”. Per poi specificare: “Non possiamo accettare la violenza nemmeno a Gaza. Dobbiamo garantire a Israele dei confini sicuri e alla Palestina uno stato libero”.
Il cambio di tono del vecchio commissario per il Green deal europeo è tanto repentino quanto dettato dalle circostanze. “Qualunque cosa si dica sulla questione israelo-palestinese”, ha ammesso ai margini del Congresso, “porta sempre alle critiche. Ma chi credeva nella nostra divisione ci sarà rimasto male: oggi il Partito del Lavoro e GroenLinks hanno dimostrato di essere uniti”. Quel che Timmermans non può ammettere è che si tratta di una compattezza fragile e artificiosa, messa a dura prova dalla frammentazione dei suoi componenti soprattutto in fatto di politica estera. La posta in palio è alta perché che l’Olanda andrà alle urne il prossimo 22 novembre e il cartello di centrosinistra potrebbe farcela: gli ultimi sondaggi preannunciano un triello con il Partito popolare orfano di Rutte e il Nuovo contratto sociale di Pieter Omtzigt. La beffa è che il compromesso ideologico emerso al Congresso, già tirato per i capelli in campagna elettorale, al governo avrebbe vita breve. E questo lo sanno sia Timmermans sia Klaver.