Il commento
Israele, l'Ucraina e la speranza. Come risospingere la bestia nell'abisso
L’apocalisse, la giustizia, il perdono. Il terrore di Hamas e l'invasione di Putin dipingono un mondo con un a"tendenza all'estremo" inarrestabile
La ferocia inaudita scatenata nei giorni scorsi dai terroristi di Hamas contro Israele, non fosse altro perché di Israele si tratta, ci costringe davvero a parlare di quelle che René Girard, avrebbe definito le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo. Non a caso sentiamo inadeguate gran parte delle parole che a fiumi si sono riversate su questo tragico evento. Troppo sproporzionate rispetto alla bestia risalita dall’abisso, all’abisso dell’umana crudeltà e allo spargimento di sangue innocente.
Proprio come aveva intuito René Girard, c’è una sorta di “tendenza all’estremo” che si sta manifestando ormai su scala planetaria e della quale la violenza terroristica è soltanto la manifestazione più eloquente. Né gli stati, né il diritto, né il sacro sono più in grado di arginarla. Il terrorismo non conosce più limiti di sorta e la sua violenza non fa altro che riprodurre se stessa. Persino la reazione di Israele, pur legittima, non farà che alimentare questa violenza. Basta guardare le manifestazioni che si sono scatenate nelle piazze di mezzo mondo, quasi che Israele sia il carnefice anziché la vittima. Il terrorismo ci mostra il volto di un enorme potere anarchico dotato di una tale capacità distruttiva da far impallidire quella degli stati tradizionali. I quali, a loro volta, vedi la Russia di Putin, tendono sempre più spesso ad assorbirne lo spirito. Ma veramente l’umanità sta andando verso la sua autodistruzione?
Gli attentati di Hamas contro Israele e l’invasione russa dell’Ucraina sembrano invero confermare quest’idea. Ma forse nel lessico ebraico-cristiano del nostro Occidente ci sono ancora parole capaci di accendere la speranza. Apocalisse, per esempio. Se il suo significato è quello di “rivelare” il significato dell’amore di Cristo crocifisso sul Golgota, si può certo parlare di apocalisse per denunciare la catastrofe di dimensioni immense che si è abbattuta sugli israeliani e sugli ucraini, ma bisognerebbe farlo senza trascurare il permanere della promessa, l’avvento della “Gerusalemme celeste” che si annuncia come certezza in mezzo al dolore e al sangue della storia.
Ciò che è stato fatto da Hamas contro cittadini israeliani inermi, bambini compresi, è sconvolgente, eppure proprio quando le gesta umane assumono questa forma sconvolgente occorre restare saldamente ancorati alla speranza, diciamo pure, visto che stiamo parlando di Israele, a una teologia dell’alleanza tra Dio e l’uomo, che resti salda nonostante le brutture del mondo. In questo senso la prospettiva apocalittica ci provoca, mescolando un po’ il buono e il cattivo, ma non induce certo a mettere tutto e tutti sullo stesso piano: il terrorismo di Hamas e la reazione di Israele. Come ho detto, essa serve piuttosto a mantenere viva la speranza, la possibilità che domani la storia prenda un’altra piega. Ma perché questo accada ci vuole giustizia, bisogna uscire dalla catena di odio e violenza che produce altro odio e violenza. L’ebrea Hannah Arendt direbbe che, affinché ci sia giustizia, ci vuole perdono. Ecco un’altra parola fondamentale, la cui dimensione prevalentemente religiosa, un po’ come per l’apocalisse, non dovrebbe offuscarne la portata storica.
Se l’imprevedibilità del futuro può essere in qualche modo arginata dalla capacità che gli uomini hanno di fare e mantenere le promesse, il perdono serve a ricominciare senza essere schiacciati dal retaggio del passato. Come dice la Arendt, “perdonare serve a distruggere i gesti del passato, i cui peccati pendono come la spada di Damocle sul capo di ogni generazione”. Credo che in poche altre zone del mondo come nel medio oriente e nel conflitto tra arabi e israeliani, questa spada abbia fatto sentire e faccia sentire a tutt’oggi il suo peso soverchiante. Da una parte la volontà di annientare a ogni costo lo stato di Israele, dall’altra il diritto di quest’ultimo a difendersi, spesso con la ferocia dettata dalla paura. Nel mezzo guerre, attentati terroristici e molto sangue innocente. Se ne uscirà un giorno? Certamente sì. E sarà quando i protagonisti di questa guerra, anziché rimanere imprigionati nella catena di azioni e reazioni alla quale li imprigionano i “peccati” del passato, sapranno riconoscerli e perdonarsi. Nonostante tutto, io ti perdono. Soltanto da un gesto gratuito e imprevisto come questo è possibile che la storia ricominci in modo nuovo. Nel frattempo io sto con Israele.