il piano
Perché entrare a Gaza è l'unico modo per fermare Hamas
Le autorità israeliane ripetono che l'operazione via terra è imminente. Il piano sarà in tre fasi e l'obiettivo è sradicare una volta per tutte la rete dei terroristi e raccogliere informazioni per liberare gli ostaggi. Tutti gli altri tentativi sono stati inefficaci
L’evacuazione dei civili israeliani che vivono al confine con Gaza è completa. Sderot, che si trova a un chilometro dalla Striscia, è vuota. I cittadini sono stati trasferiti in vari alberghi del paese e la misura è parte delle precauzioni che Israele sta prendendo prima di fare irruzione e cercare di liberare il territorio da Hamas. Anche a nord alcune zone sono state evacuate, i razzi vengono lanciati dal Libano a ritmo sempre più intenso e portare via i civili è il modo migliore per evitare vittime in questo momento. Le autorità continuano a definire l’ingresso dell’esercito israeliano imminente, mancano ancora degli aggiustamenti che riguardano la logistica e delle precauzioni sull’addestramento dei soldati, Israele ha richiamato un numero di riservisti senza precedenti, come non accadeva dalla guerra dello Yom Kippur. Non ci sono alternative all’ingresso a Gaza, la decisione non è dettata da volontà di vendetta o di punizione contro il popolo palestinese, ma ha a che fare con la sicurezza futura di Israele e finora tutte le operazioni intraprese dai comandi militari riguardano la preparazione. Dopo aver liberato i villaggi invasi dai terroristi di Hamas, Tsahal ha iniziato a bombardare la Striscia portando avanti un attacco che aveva lo scopo di colpire obiettivi militari, terroristi di Hamas e preparare le condizioni per l’offensiva via terra. I primi due punti, l’attacco contro obiettivi e gli assassini mirati, sono pratiche già usate, per cui non c’è bisogno di far entrare i soldati sul territorio di Gaza, ma questa volta l’obiettivo è sradicare Hamas come organizzazione, toglierle la capacità di portare a termine un attacco coordinato contro i cittadini israeliani come avvenuto il 7 ottobre scorso.
Oltre a evacuare i propri di cittadini, Israele ha chiesto anche ai palestinesi di allontanarsi dalla parte settentrionale della Striscia, di radunarsi verso le zone centrali e meridionali, che ora rischiano di essere in condizioni di sovraffollamento. Non tutti se ne sono andati, alcuni hanno scelto autonomamente di rimanere, in altri casi è stato Hamas a intimare ai palestinesi di non lasciare la zona. L’operazione a Gaza è rischiosa per lo stesso esercito israeliano, ma l’obiettivo è chiaro: fare in modo che Hamas non sia più una minaccia, questo non vorrà dire che ogni singolo elemento del gruppo verrà eliminato e ogni missile distrutto, ma la sua capacità di agire in modo coordinato deve essere neutralizzata. La prima parte dell’operazione a Gaza sarà lenta e massiccia: la richiesta di Israele di allontanare i civili è per ridurre le vittime. La seconda fase, più capillare, servirà a bloccare i centri di comando più resistenti, scovare i tunnel, la rete che Israele ancora non conosce e per cui deve raccogliere informazioni. Ci potrebbero volere due mesi o sei, e la fase successiva potrebbe portare alla creazione di una zona cuscinetto lungo il perimetro di Gaza, al disimpegno totale da parte di Israele di ogni fornitura di energia, e di un impegno militare fino a quando non ci sarà un partner politico affidabile. Israele agirà da solo, gli americani collaboreranno – come si è visto già giovedì quando gli Stati Uniti hanno abbattuto i missili provenienti dallo Yemen e diretti contro lo stato ebraico del gruppo Ansar Allah – e daranno informazioni di intelligence e il loro impegno serve anche da deterrente contro l’Iran.
Non c’è altra soluzione se non l’ingresso a Gaza, negli ultimi dieci anni Israele ha risposto agli attacchi di Hamas con i bombardamenti e Hamas ha continuato a crescere, a organizzarsi, a coordinarsi. Soltanto entrando nella Striscia, lo stato ebraico ha la possibilità di fermare la struttura del gruppo di terroristi. Negli scenari più ottimistici, l’eliminazione di Hamas dovrebbe portare alla creazione di una nuova realtà politica. Israele è determinata a prendere in mano una volta per tutte la questione della sua sicurezza al confine con Gaza e l’irruzione, secondo il maggiore Yaakov Amidror, ex consigliere per la sicurezza, permette di limitare le vittime e di raccogliere le informazioni sufficienti a liberare gli oltre duecento ostaggi che sono stati rapiti dai terroristi e portati nella Striscia e di cui ci sono poche informazioni. Ieri Hamas ha rilasciato per motivi medici due ostaggi, due americane, madre e figlia. Oltre alle ultime preparazioni, la logistica, l’addestramento, sono anche gli ostaggi e gli aiuti che dovrebbero passare per il valico di Rafah a dettare i tempi per l’inizio dell’operazione via terra: secondo Bloomberg gli Stati Uniti e l’Unione europea stanno cercando di ritardare l’ingresso a Gaza per dare più tempo ai colloqui segreti gestiti dal Qatar che riguardano il rilascio di altri prigionieri.
L'editoriale dell'elefantino