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L'editoriale del direttore

Le balle da smascherare su Hamas

Claudio Cerasa

Il caso più clamoroso di adesione alla propaganda dei terroristi non è l’ospedale di Gaza ma l’idea che Hamas lavori per i palestinesi

E se non fosse la storia dell’ospedale di Gaza il caso più clamoroso di adesione totale all’efferata propaganda di Hamas? La notizia l’avrete probabilmente già letta. Il New York Times, con una nota della direzione, ha chiesto scusa ai lettori per essere caduto in un tranello mica male. Lo scorso 17 ottobre, ricorderete, un missile è esploso nei pressi dell’ospedale di al Ahli, a Gaza, e il New York Times, come gran parte dei media occidentali, ha scelto – come ammesso – di dare conto della storia “basandosi troppo sulle affermazioni di Hamas”. Il ministero della Sanità di Gaza, ha detto il New York Times, ha dato un’informazione parziale, non verificata, poi smentita anche dalle informazioni di intelligence degli Stati Uniti e della Francia, e il Nyt non si è preoccupato di essere cauto e ha trasformato la velina di un gruppo terroristico in una verità giornalistica. Ha chiesto scusa il Nyt, lunedì, e prima ancora hanno chiesto scusa i vertici della Bbc, che, oltre a riconoscere l’errore commesso sull’ospedale, hanno scelto di definire gli appartenenti di Hamas non più di default come semplici “militants” ma come “gruppo definito organizzazione terroristica dal governo britannico e da altri governi”. Si potrebbe notare la differenza tra chi ha scelto di scusarsi (Bbc e Nyt) e chi ha scelto di restare alla versione di Hamas (Amnesty Italia, per esempio, o Medici senza frontiere, per esempio). Ma ciò su cui forse vale la pena soffermarsi, quando si ragiona su quelli che sono gli effetti più clamorosi della propaganda di Hamas, è un punto ancora più importante, ancora più delicato, che riguarda un’altra falsa verità che i media internazionali non riescono a smascherare come dovrebbero e come potrebbero.

La falsa verità coincide con un’idea di questo tipo. Hamas ha certamente compiuto un atto di terrorismo, che condanniamo, ma Hamas lotta per una causa giusta, che è quella di riconoscere il diritto dei palestinesi ad avere un loro stato, e una loro dignità, all’interno di una cornice che Israele invece ha sempre rifiutato: due popoli, due stati. Tesi di fondo: Hamas, con mezzi rudi, deprecabili, condannabili, sta dicendo una cosa giusta, e non capirlo, non soffermarsi sull’istanza di cui è veicolo Hamas, significa non voler trovare una soluzione per sminare il terreno della violenza del medio oriente. I sostenitori di questa tesi – sono compagni che sbagliano – non si rendono conto però che per quanto possa essere radicato l’odio nei confronti di Israele la possibilità che si possa realizzare uno scenario simile a quello appena descritto, due popoli e due stati, è reso impraticabile proprio dalla presenza di Hamas sul terreno di gioco. Hamas non è utile alla causa palestinese, non è il suo core business, ma è utile solo a un’altra causa, che è la distruzione di Israele. E fino a quando coloro che sognano di dare un sostegno alla causa palestinese non sceglieranno di sradicare dall’interno il male chiamato Hamas l’obiettivo di dare un sostegno al popolo palestinese resterà un’utopia. “Hamas – ha detto ieri Emmanuel Macron, in un discorso tenuto a Gerusalemme, al fianco del premier israeliano Benjamin Netanyahu – è un’organizzazione terroristica il cui obiettivo stesso è la distruzione di Israele. E la Francia è pronta a fare in modo che la coalizione internazionale contro Daesh possa lottare anche contro Hamas”.

L’elemento più raccapricciante dell’adesione istintiva alla propaganda di Hamas non vive dunque solo fra i tic anti israeliani che si registrano ogni giorno sui media internazionali. Ma vive nella convinzione perversa di chi non capisce che Hamas è il vero grande ostacolo alla causa palestinese e che fare di tutto per rimuovere Hamas è l’unico modo possibile per promuovere non la distruzione di uno stato ma la creazione di un altro. A essere nelle mani di Hamas, oggi, non è solo il gruppo di ostaggi sequestrati il 7 ottobre, ma è la prospettiva stessa di creare le condizioni per avere un giorno uno stato palestinese libero. Prima ancora che dagli ospedali, per smascherare le menzogne di Hamas occorre partire da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.