oltre gli accordi

La strategia dell'Arabia Saudita di pensare già al dopo

Micol Flammini

I sauditi abbattono un missile lanciato contro Israele e con la Davos nel deserto mostrano che certe "normalizzazioni" sono inarrestabili

Il 7 ottobre stesso, quando i terroristi si aggiravano ancora per i kibbutz, facevano avanti e indietro tra la Striscia di Gaza e Israele, uccidevano e rapivano cittadini, dal Libano, i militanti sciiti di Hezbollah avevano detto, per primi, lodando l’attacco contro lo stato ebraico, che era un messaggio al mondo arabo, alla comunità internazionale e in particolare a coloro “che cercano la normalizzazione con questo nemico”. Lo aveva detto Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, che quando parla esprime la sua posizione e anche quella dell’Iran. Il colpo a Israele doveva essere quindi un colpo contro la normalizzazione, contro gli Accordi di Abramo e contro il tassello più ambìto di questi accordi: l’Arabia Saudita. Tra Gerusalemme e Riad, prima e dopo il 7 ottobre, non c’era nulla di ufficiale, ma alcune cose hanno già iniziato a funzionare e non si sono interrotte. 

 

Giovedì scorso, secondo il Wall Street Journal, l’Arabia Saudita ha abbattuto uno dei missili da crociera iraniani che dallo Yemen vengono lanciati contro Israele. Anche una nave da guerra americana ne aveva abbattuto uno, e l’episodio che ha coinvolto i sauditi indica che i missili mandati dal gruppo sciita Ansar Allah sono una minaccia tutt’altro che sporadica e che alcuni meccanismi di cooperazione tra sauditi, israeliani e americani funzionano nonostante tutto. Il giornalista israeliano Avi Scharf ha ricordato quando nel 2021 si iniziò a parlare di un progetto comune di Israele e Arabia Saudita per abbattere i droni iraniani, all’epoca al ministero della Difesa c’era Benny Gantz. La cooperazione è dentro  al Comando centrale degli Stati Uniti, il Centcom con base in Qatar e che ha lo scopo di funzionare come un ombrello difensivo tra medio oriente e Asia centrale e che di fatto fonde le informazioni elettroniche dei sensori dei paesi che ne fanno parte, crea un quadro delle minacce aeree in tempo reale e coordina la risposta. Al Comando fanno riferimento anche Israele e Arabia Saudita e Centcom fa da raccordo, perché i paesi non hanno relazioni diplomatiche. La difesa aerea non ha nulla a che fare con gli Accordi di Abramo, a cui Riad non ha aderito, risponde però alla stessa logica di collaborare, pur non essendo alleati, perché c’è un progetto comune contro lo stesso nemico.  

 

L’Arabia Saudita sta ospitando in questi giorni un forum economico che viene chiamato la Davos nel deserto, il cui obiettivo è dimostrare che nonostante tutto  il paese è aperto agli investimenti. Una fonte del governo ha raccontato al Financial Times che per i sauditi la situazione a Gaza è “molto molto triste, ma non vogliono farsi distrarre”.  Dopo il 7 ottobre Riad ha sospeso i colloqui con gli Stati Uniti e Israele, il principe ereditario Mohammed bin Salman ha chiamato il presidente iraniano Raisi, ed è stata una cosa inedita,  poi ha parlato anche con il presidente americano Joe Biden: lo sforzo è tutto volto a fermare un conflitto più ampio. L’Arabia Saudita non ha intenzione di placare le sue ambizioni economiche e per portarle avanti ha bisogno che la  normalizzazione continui. Un processo iniziato e difficile da arrestare.  (m.fla)
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)