in america

Quella scritta antisemita alla George Washington University

Micol Flammini

Su un edificio dell'università è comparso "Gloria ai martiri” e non è un modo per esprimere il sostegno per i palestinesi, ma un inno a Hamas. Yair Lapid fa tre domande all'estrema e sinistra e risponde con una parola: antisemitismo

Le scritte “Gloria ai nostri martiri”, “Palestina libera dal fiume al mare”, dove il fiume sta per il Giordano e il mare è il Mediterraneo, sono state proiettate sugli edifici della George Washington University. I martiri non sono i civili che muoiono a Gaza durante i bombardamenti, “martire” è un termine ben specifico,  indica coloro che muoiono in battaglia, quindi per il jihad, e chi lo fa sono i terroristi di  Hamas. 

Nelle università di tutto il mondo, immediatamente dopo l’attacco contro Israele, le notizie e le immagini del massacro, si è diffusa una vistosa simpatia nei confronti della causa di Hamas. Da Harvard era partita una lettera di condanna contro “il regime israeliano” responsabile di ogni sofferenza in medio oriente, in altri atenei negli Stati Uniti e nel Regno Unito gli studenti hanno strappato i manifesti con le foto degli ostaggi, una reazione violenta contro le oltre duecento persone che sono state rapite dai terroristi, tra loro ci sono anziani, bambini, donne, uomini, molti dei quali provenienti dagli ambienti che più in questi anni hanno lavorato per la convivenza tra palestinesi e israeliani. Ma poco importa, la loro appartenenza al popolo ebraico è una colpa e tanto basta per avallare una scritta come “gloria ai martiri”, che altro non è che un invito alla sua distruzione. Su Free Press, l’ultimo dei progetti editoriali della giornalista americana Bari Weiss, è uscito un articolo che riguarda proprio le università americane, che in questi anni hanno ricevuto miliardi da parte del Qatar: il   progetto a lungo termine, evidentemente, era quello di influenzare la futura classe dirigente degli Stati Uniti. Il Qatar non è soltanto il paese che  sta gestendo i negoziati per liberare gli ostaggi israeliani in mano ai terroristi, ma è anche il paese in cui la leadership di Hamas ha vissuto e vive ancora e ne è stato anche il finanziatore. 

Le università americane sono diventate il covo di ideologie genocidarie da sbandierare – riguardo alle scritte alla George Washington University, che sono state diffuse in foto, è stato chiesto alla preside di trovare i responsabili ed espellerli – spesso coperte sotto la falsa difesa dei diritti della popolazione di Gaza, mentre se davvero si avesse a cuore il destino del popolo palestinese sotto le bombe e sotto le macerie verrebbe spontanea la condanna urlata di Hamas. 

 

I movimenti studenteschi trovano spesso la loro sponda in alcuni ambienti politici, si è visto bene in Francia, con il leader della France Insoumise Jean-Luc Mélenchon. Ieri Yair Lapid, leader del partito israeliano di centrosinistra Yesh Atid ha rivolto tre domande a quella che chiama “l’estrema sinistra globale”. Lapid chiede: quanti ebrei devono morire prima che la smettiate di dare a noi la colpa di tutto? I vostri sentimenti ed empatia nei confronti della sofferenza palestinese vi esonerano forse da una corretta conoscenza dei fatti? Il leader di Yesh Atid fa un esempio chiaro, chiedendosi quanti sappiano, per esempio, che il primo a opporsi alla soluzione dei due stati è proprio Hamas. Infine, fa la terza domanda all’estrema sinistra globale: “Sapete che esiste una risposta semplice alle prime due domande? C’è un motivo per cui protestate contro di noi in questi giorni e riguarda i vostri  sentimenti”. C’è un tratto che unisce le proteste, le scritte nelle università, la decisione di strappare i volti degli israeliani che sono stati portati nella Striscia di Gaza e che sono vittime del terrore, la presunzione di non volersi informare e di voler dare sempre la colpa a Israele. Scrive Yair Lapid che è stato ministro degli Esteri, è stato premier, è veementemente contrario al governo di Benjamin Netanyahu, che questo tratto è l’antisemitismo: “So che pensi di non essere antisemita, ma lo sei”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)