La nuova fase della guerra
Israele espande le operazioni a Gaza tra bombardamenti mai visti prima
Le dichiarazioni delle Forze armate israeliane e di Hamas preparano a una guerra totale. L'amministrazione Biden mantiene un approccio cauto per evitare l'espansione del conflitto. Gli occhi sono puntati su Hezbollah in Libano
Tel Aviv, dalla nostra inviata. Ieri sera il portavoce delle Forze armate israeliane ha detto “stiamo espandendo le nostre operazioni nella Striscia di Gaza”. Un’ora prima erano cominciati i bombardamenti più intensi di questa guerra, e nei primi giorni dopo il 7 ottobre le bombe sganciate erano state mille al giorno, una dose già senza precedenti. Nel pomeriggio il portavoce israeliano aveva mostrato al mondo un video del centro di comando di Hamas sotto il più grande ospedale della Striscia, il suo discorso era suonato come un avvertimento: lo colpiremo. Contemporaneamente era in onda anche il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, e anche il suo discorso di morte sembrava voler preparare i palestinesi alla guerra totale. Haniyeh ha detto che “c’è bisogno del sangue dei bambini e delle donne” per risvegliare “lo spirito rivoluzionario”. Il sangue invocato era quello dei bambini e delle donne di Gaza che lui vuole vedere martiri.
I bombardamenti israeliani hanno interrotto le comunicazioni con la Striscia di Gaza e nel momento in cui scriviamo è impossibile ottenere informazioni da lì. Ieri mattina, prima dell’alba, gli aerei militari americani hanno bombardato due strutture in uso ai pasdaran iraniani nell’est della Siria. Il messaggio era rivolto a Teheran e alle milizie sue alleate in medio oriente: non abituatevi all’idea di colpire i nostri soldati nella regione quasi ogni giorno e impunemente. I primi attacchi alle basi americane erano cominciati all’inizio della settimana scorsa, che la risposta sia arrivata soltanto ieri è uno dei sintomi dell’approccio cauto che l’Amministrazione Biden usa per scongiurare l’escalation. Una guerra più grande, in cui Israele deve combattere su più fronti e non può concentrarsi soltanto sulla Striscia di Gaza, è proprio ciò che Hamas vorrebbe.
Le esplosioni in Siria sono state imponenti e questo fa pensare che gli Stati Uniti abbiano centrato almeno un deposito di munizioni iraniane del tipo che viene usato contro i soldati americani. Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha risposto al raid americano da New York, dal Palazzo di vetro, con minacce. E ha detto che se il “genocidio a Gaza continua, gli Stati Uniti non saranno risparmiati dal fuoco”. Il gioco pericoloso di Teheran, come ha scritto l’Economist, “non ha come obiettivo oggi, come non lo ha mai avuto negli ultimi dieci anni, quello di provocare una guerra aperta con l’occidente e i suoi alleati, ma ha lo scopo di creare instabilità”. Di complicare le operazioni militari di Israele, di sfruttare le divergenze tra alleati, di far saltare le mediazioni e gli accordi: da quelli di Abramo tra lo stato ebraico e alcuni paesi del Golfo alle discussioni in corso, mediate dal Qatar, per la liberazione degli ostaggi intrappolati a Gaza.
Due giorni fa nove paesi arabi – il Bahrein, l’Oman, il Qatar, l’Egitto, la Giordania, il Kuwait, il Marocco, l’Arabia Saudita e gli Emirati – hanno firmato tutti insieme un documento in cui accusano Israele di aver violato il diritto internazionale a Gaza. Tra questi ci sono i paesi che hanno sottoscritto gli accordi di Abramo e quelli che stavano per farlo: per Teheran il documento di condanna è un successo. Ieri al Jazeera, citando una fonte anonima, ha annunciato: “I negoziati tra Hamas e Israele, mediati dal Qatar, procedono a passi rapidi per finalizzare un accordo sullo scambio di prigionieri”. Nel valutare la notizia bisogna tenere presente che al Jazeera è del Qatar, che sta usando i negoziati per aumentare il proprio peso specifico agli occhi della comunità internazionale e ha tutto l’interesse a fare apparire la trattativa che gestisce vicina a un successo. Anche perché spargere la voce può funzionare da profezia autoavverante: se le diplomazie degli altri paesi considerano il cessate il fuoco temporaneo e la liberazione degli ostaggi un’opzione possibile, cominciano anche loro a fare pressione per ottenere questo risultato.
Ieri un portavoce di Hamas ha parlato con il Washington Post dettando le condizioni del gruppo di terroristi per il rilascio degli ostaggi: cinque giorni di cessate il fuoco, l’apertura del valico di Rafah al confine con l’Egitto per curare lì sedici mila feriti di Gaza e l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia. Dopo che ieri sera le forze armate israeliane hanno “esteso” la guerra nella Striscia, le azioni delle milizie amiche di Teheran in giro per il medio oriente rischiano di provocare un’escalation che va oltre Gaza. Gli occhi sono tutti su Hezbollah in Libano, ma gli analisti iraniani solitamente ben informati temono innanzitutto la Siria: perché il regime di Bashar el Assad è più debole e compromesso, quindi più sacrificabile per Teheran.