l'offensiva

Il costo del bombardamento israeliano al campo profughi di Jabaliya

Micol Flammini

Israele colpisce la città a nord di Gaza, le vittime civili sono tante. Sono stati eliminati uno dei leader dell'attacco del 7 ottobre e altri terroristi, e sequestrato un complesso di Hamas che comprende postazioni per il lancio dei missili e un tunnel 

Oggi il campo profughi di Jabaliya, a nord di Gaza City, è stato colpito da un bombardamento. Le immagini mostrano un cratere tra gli edifici del più grande tra gli otto campi di Gaza, in cui a luglio, secondo le Nazioni Unite, in un’area piccola ma densamente popolata, vivevano 116.000 palestinesi.  Nel suo perimetro conta condomini, scuole, centri sanitari e si trova in una di quelle aree che Israele ha ordinato di evacuare, perché vengono usate dai terroristi di Hamas per organizzare gli attacchi contro Israele. L’esplosione secondo le prime stime dell’Afp, che ha esaminato le immagini, ha causato almeno cinquanta morti e le Forze di difesa israeliane hanno detto che durante l’attacco è stato colpito Ibrahim Biari, il comandante del battaglione centrale Jabaliya, responsabile di aver guidato le Forze d’élite Nukhba il 7 ottobre. I soldati via terra sono riusciti a sequestrare il complesso del battaglione Jabaliya, che comprende anche postazioni per il lancio di missili e un tunnel. 

 

Israele sta avanzando, oggi sono morti due soldati e due sono gravemente feriti, durante l’intera operazione a Jabaliya sono morti cinquanta terroristi e un numero per ora non calcolabile di civili, che non hanno modo di proteggersi durante i bombardamenti: non ci sono rifugi a Gaza. Abu Marzouk è uno degli uomini più importanti di Hamas. Conosce benissimo il gruppo, lo ha aiutato a risollevarsi economicamente in varie occasioni, ha studiato negli Stati Uniti ed è sempre stato molto bravo a trovare contatti e denaro, anche in Europa. Quando Marzouk parla non va preso come una voce isolata, ma come una persona che ha dentro ben radicata l’ideologia di Hamas, che ha contribuito a crearne lo statuto, a portarne avanti le intenzioni. In una recente intervista concessa a Rt ha risposto con naturalezza a una domanda molto importante: come mai Hamas è stato così attento e abile a scavare cinquecento chilometri di tunnel dentro la Striscia di Gaza e non ha pensato invece a costruire dei rifugi antiaerei per la popolazione per proteggersi dalle bombe israeliane. La storia della guerra in Ucraina, per esempio, insegna che in assenza di una capillare forma di sistemi antimissile sono stati i rifugi, le stazioni della metro, il lato sotterraneo delle città a proteggere i cittadini. Nulla di tutto ciò esiste a Gaza, nonostante i bombardamenti non siano iniziati oggi, e nonostante i tunnel dimostrino che l’abilità di costruire dei rifugi ci sarebbe. Marzouk risponde che i tunnel sono stati costruiti perché loro, ossia gli uomini di Hamas, non hanno avuto altra scelta per proteggersi: “I tunnel sono destinati a proteggerci dagli aerei, noi combattiamo da dentro i tunnel. Tutti sanno che il 75 per cento della popolazione della Striscia è costituita da rifugiati ed è compito delle Nazioni Unite prendersi cura di loro”. I palestinesi, dice Marzouk, non sono  responsabilità di Hamas, né del braccio politico né di quello armato, per chi ama dividere le due cose che ormai sono indivisibili. Hamas governa la Striscia dal 2007, ma uno dei suoi esponenti politici non ritiene di dover pensare alla costruzione di rifugi antiaerei e mentre gli uomini del gruppo vivono all’estero o possono proteggersi nei tunnel, preclusi alla popolazione, i cittadini non hanno alcuna protezione. 

 

Sono le Nazioni Unite  a pensare ai cittadini, l’Unrwa, l’Agenzia che si occupa dei rifugiati palestinesi, pensa agli aiuti umanitari da prima della guerra e nelle scorse settimane ha denunciato anche il furto di acqua e carburante da parte di uomini armati probabilmente del ministero della Salute, quindi di Hamas – lo aveva scritto in un post su X (un tempo Twitter) poi cancellato per ragioni di sicurezza – e avverte che il territorio che ospita i palestinesi è in seria  difficoltà. Si potrebbe pensare che Hamas, che governa la Striscia in totale assenza di diritti e libertà, non abbia i mezzi per aiutare la sua popolazione. Ma non è una questione di risorse finanziarie, è una questione di metodo. Il quotidiano tedesco Welt è riuscito a ottenere e consultare dei documenti sul patrimonio di Hamas e sui suoi conti bancari molto gonfi. L’ufficio per gli Investimenti del gruppo terroristico è uno dei comitati che dipendono dal Consiglio della Shura, vigila sulle attività commerciali e ha accesso a quello che viene chiamato “il portafoglio segreto”: una specie di registro dei conti stranieri di Hamas. L’impero finanziario fuori dalla Striscia avrebbe un valore di quasi settecento milioni di euro. Del portafoglio segreto fanno parte circa quaranta aziende  operanti  nel settore edile e immobiliare che si trovano in Turchia, Qatar, Algeria, Emirati e Sudan. Gli introiti vengono destinati alla leadership di Hamas, i cui capi vivono  all’estero e i loro conti bancari sono aperti in tutto il mondo. La leadership di Hamas, secondo la Welt, ha conti presso varie banche turche, alle quali arrivano bonifici effettuati in Europa attraverso istituti corrispondenti. Circa vent’anni fa, secondo fonti sentite dal giornale tedesco, Hamas ha iniziato a costruirsi un proprio ombrello di sicurezza finanziaria, per tutelarsi quando i paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar o la Turchia avessero deciso di interrompere ogni sostegno. 

 

L’uomo di riferimento dell’apparato finanziario di Hamas è Zaher Ali Moussa Jabarin, ed era uno dei  più di mille terroristi palestinesi rilasciati nel 2011 nello scambio con il soldato rapito Gilad Shalit. Si è trasferito in Turchia, da dove si reca in Libano, Qatar e Iran e la sua funzione è quella di aiutare i vertici del gruppo a espandere i propri affari. Un tempo Ismail Haniyeh, uno dei volti più noti di Hamas, aveva giurato di voler sopravvivere a olio e za’atar, una miscela di spezie usata per condire molti cibi e considerata un potenziatore di virtù fisiche e mentali, ora invece vive in alberghi di lusso e le sue attività sono ben lontane dai  palestinesi. Senza risorse, denaro, cibo né rifugi, i cittadini sono lasciati alla guerra scatenata dalle azioni terroristiche del gruppo. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)