antisemitismo post 7 ottobre
L'osceno silenzio sullo studente ebreo messo alla sbarra a scuola. Fosse stata un'altra minoranza?
In un liceo di Roma uno studente di religione ebraica, però definito “italo-israeliano”, è stato chiamato dal professore a spiegare le ragioni di Israele davanti alla classe. Più che un dialogo – e non serve uno psicologo a capirlo – una chiamata alla sbarra
Sei giorni dopo il 7 ottobre, mentre già nel mondo stava montando (ma non dite “paradossalmente”) un’onda di antisemitismo in parole e opere come non si vedeva da decenni, in una scuola di Roma, il liceo scientifico Righi, è accaduto un episodio grave e foriero di inquietudini che i mezzi d’informazione hanno però liquidato come cronaca minore e che non ha allarmato la pubblica opinione così detta. In una classe quarta, il docente di Storia e Filosofia ha distribuito, e fatto lavorare gli studenti, su materiali relativi al conflitto israelo-palestinese, documenti di Amnesty International sulla apartheid nei Territori e persino, pare, un discorso di Craxi pro Palestina. Documentazione un tantino a senso unico. Uno studente di religione ebraica, però definito “italo-israeliano”, ha tentato di controbattere. Al che, “per garantire il pluralismo”, il prof gli ha dato la possibilità di intervenire davanti ai compagni e spiegare il suo punto di vista. Più che un dialogo, non serve uno psicologo a capirlo, una chiamata alla sbarra, o l’individuazione di una alterità. Con il prevedibile e brutale risultato di isolare il compagno dagli altri compagni. E non è questione di come la pensassero lui e gli altri sull’argomento.
Non pago, il docente ha riportato nel registro elettronico, strumento a disposizione di colleghi, famiglie e studenti, che in classe “le ragioni di Israele” erano state “spiegate” dall’alunno: di cui si specificavano nome e cognome, le origini e la religione. Ma le leggi razziali del 1938, quelle che isolarono e cacciarono dalle scuole alunne e alunni ebrei, non sono state abolite? Non siamo tutti uguali cittadini all’ombra della stessa Costituzione? O vedremo tornare a scuola la stella gialla? Nella memoria di tutti è ben impresso – almeno per le letture fatte, per le testimonianze ascoltate dei sopravvissuti, per i film visti – il trauma dell’essere messi a parte all’interno di quella che fino a prima era stata una comunità, di essere segnati a dito. Non c’è forse sintesi più potente della sequenza muta di “Arrivederci ragazzi”, il film di Louis Malle con il piccolo pallido ebreo scovato nella classe in cui era tenuto nascosto, e fatto uscire in mezzo agli sguardi attoniti, colpevoli o complici dei compagni.
L’umiliazione subita nel suo liceo d’élite berlinese da Jegor Karnowski, tedesco-ebreo di famiglia assimilata, che scopre d’un tratto nella sua violata nudità di essere invece “soltanto ebreo” è una delle pagine più sconvolgenti della “Famiglia Karnowski”, il poderoso capolavoro di Israel Singer.
Un libro di una decina d’anni fa, “La Shoah dei bambini” dello storico Bruno Maida, racconta la discriminazione razziale attuata dal fascismo proprio nelle scuole. Sono immagini e memoria che foderano di buone intenzioni troppi “mai più” ripetuti con retorica a ogni occasione. Per il docente del Righi, probabilmente, indicare nel registro origine e religione di uno studente non costituisce un problema. Non così per i genitori, che hanno chiamato in causa la dirigente scolastica per denunciare il fatto, riporta Repubblica. Ma che la gravità dell’episodio non interessi a nessuno è il dato che dovrebbe più inquietare.
Non osiamo nemmeno immaginare quale sarebbe stata la reazione indignata di stampa e società civile se al posto di un piccolo ebreo a essere soppesato e chiamato a giustificarsi per la sua origine e i suoi convincimenti ci fosse stato un “nuovo italiano” figlio d’immigrazione, un militante di Ultima generazione o un appartenente a qualsiasi altra minoranza biopolitica “da includere”. Avremmo le piazze e le prime pagine piene. Ma è solo un ebreo, anzi italo-israeliano, roba da segnalare nel registro. Quando gli hanno fatto notare che il suo allievo si è sentito molto scosso dall’episodio, il professore ha risposto: “Anche io sono scosso, perché c’è un genocidio in atto”. Se l’ha detto davvero, ha detto una bestialità. Non ovviamente per Gaza, ma perché così ha rivendicato e legittimato, dal suo punto di vista, un sopruso compiuto nei confronti di un allievo, minorenne, di cui dovrebbe invece avere la massima cura, senza sovrapporvi le proprie visioni di adulto. Ma anche di questo, immaginiamo, non importerà nulla a nessuno, nel nostro paese in cui l’antisemitismo ritorna nella stessa noncurante indifferenza della Ferrara dei Finzi-Contini.