La diplomazia di Sunak sull'intelligenza artificiale funziona a metà
Dalla macchina Enigma ai supercomputer. A Bletchley Park tutti d'accordo sulla pericolosità della tecnologia, ma occidente, Cina e Musk hanno idee molto diverse su come governarla
Ieri il primo ministro inglese, Rishi Sunak, ha difeso la sua scelta di invitare la Repubblica popolare cinese e il ceo di Tesla, Space X e X, l’ex Twitter, Elon Musk, al primo summit dedicato alle potenziali minacce dell’intelligenza artificiale. “E’ la decisione giusta sul lungo periodo: penso che non ci possa essere una conversazione sull’IA senza coinvolgere i paesi leader mondiali nel campo. E la Cina è indiscutibilmente una di queste”, ha detto Sunak a Politico, rispondendo alle polemiche sollevate nei giorni scorsi dai conservatori e in particolare dall’ex premier Liz Truss, che ha scritto una lettera al primo ministro definendosi “profondamente turbata” dall’invito a Pechino a partecipare.
Secondo Truss, infatti, la leadership cinese considera l’intelligenza artificiale “un mezzo di controllo”. Non ha tutti i torti: per la Cina di Xi Jinping la tecnologia è parte integrante del sistema di sicurezza nazionale, e ieri Wu Zhaohui, viceministro della Scienza e della tecnologia di Pechino, capo della delegazione in missione nel Regno Unito, ha portato alla piattaforma internazionale il proprio contributo. E’ quello espresso dal leader Xi all’ultimo vertice sulla Via della seta di Pechino, cioè l’“Iniziativa sulla governance globale dell’Intelligenza artificiale” – un documento di sei pagine che al punto due richiama alla necessità di “rispettare la sovranità nazionale degli altri paesi e osservare rigorosamente le loro leggi quando forniamo loro prodotti e servizi di IA”, cioè un chiaro messaggio all’indipendenza sull’uso di tali tecnologie che può “mettere a rischio la sovranità di altri stati”, cioè la Cina. Che ha già mostrato in passato come sa piegare ai suoi desiderata gli organismi regolatori sovranazionali, e se le decisioni non gli piacciono, semplicemente le ignora.
Anche su Elon Musk c’erano state delle polemiche: l’uomo più ricco del mondo, tra i fondatori di OpenAi, la società che ha sviluppato ChatGPT, oggi fa parte del partito dei catastrofisti che credono nella potenziale minaccia all’esistenza umana delle tecnologie intelligenti. E ieri, durante il suo discorso al summit, ha rinnovato la sua proposta di regolare la ricerca e le sue applicazioni: “Penso che il nostro obiettivo sia innanzitutto stabilire una funzione di arbitro”. Regolamentare, certo, ma non troppo: “E poi, sapete, dobbiamo essere cauti nell’applicazione dei regolamenti, in modo da non inibire il lato positivo dell’IA”. Ognuno vuole le regole che più gli fanno comodo, ognuno vuole un posto al tavolo di chi fa le regole.
Organizzare e lanciare l’AI safety summit, che diventerà un appuntamento annuale per i capi di stato e governo di più di ventotto paesi, secondo la stampa inglese è stata una buona mossa diplomatica di Sunak, che cerca di riportare il Regno Unito alla centralità internazionale dopo la Brexit. Un piano ambizioso, però, che parte da un argomento particolarmente complesso sul quale l’altro ieri si è espresso perfino Re Carlo, che aprendo i lavori del summit ha definito lo sviluppo dell’IA “non meno importante della scoperta dell’elettricità”, ma che deve essere regolato con “urgenza, unità e forza collettiva”. Il successo diplomatico Sunak l’ha ottenuto ieri, quando tutti e ventotto i paesi hanno firmato la cosiddetta “dichiarazione di Bletchley” – il vertice si è svolto a Bletchley park, cioè la famosa “Stazione X”, dove durante la Seconda guerra mondiale venivano decrittografati i messaggi in codice nazisti. “Decidiamo di lavorare insieme in modo inclusivo per garantire un’IA incentrata sull’uomo, affidabile e responsabile, che sia sicura e sostenga il bene di tutti attraverso i forum internazionali esistenti e altre iniziative pertinenti”, si legge nella dichiarazione. L’intelligenza artificiale diventa quindi un secondo territorio di dialogo – oltre ai cambiamenti climatici – su cui la Cina è disposta a tenere aperto il dialogo con America e Unione europea. Ma perfino la Casa Bianca, sul tema, sembra muoversi in un territorio inesplorato, ed è difficile capirne e prevederne la portata.
Tre giorni fa, alla vigilia del summit inglese, dove a rappresentare il governo americano c’era la vicepresidente Kamala Harris, Biden ha firmato un ordine esecutivo sul settore, per tentare di offrire un modello al resto del mondo. L’ordine impone alle aziende di comunicare al governo federale i rischi potenziali dei loro sistemi, e cerca di ridurre i pericoli dei video deep fake, ma ha anche una serie di norme per accelerare lo sviluppo dell’IA e tentare di limitare l’avanzata veloce della Cina (con il divieto di export a Pechino, per esempio, dei chip per i computer più potenti che servono a sviluppare i modelli linguistici). Proprio ieri Newsweek ha pubblicato uno scoop: il Pentagono ha concesso almeno 30 milioni di dollari di finanziamenti per la ricerca condotta da a Song-Chun Zhu, che ha studiato nei laboratori americani, ne ha finanziato uno vicino a Wuhan, e oggi è considerato uno dei padri dell’intelligenza artificiale cinese e lavora a stretto contatto con il governo di Pechino.