Controsensi
Il pensiero tossico della sinistra che vede Hamas lottare per la causa
In Israele esiste il dissenso. Nelle prigioni dei teocratici e sessuofobi criminali del gruppo terroristico invece i prigionieri sono usati come scudi umani
Bene: rivendico di avere scritto che in Israele è possibile denunciare la politica della destra estrema di Netanyahu, e anche essere pienamente anarchici, comunisti, addirittura perfino situazionisti, o ancora liberamente, festosamente gay o lesbiche o transgender. Nella prigione di Gaza, dove i terroristi criminali teocratici e sessuofobi di Hamas controllano le vite di ciascuno in nome dell’ossessione religiosa islamista, le persone, ammesso che siano ritenute tali, diventano scudi umani, ostaggi, e ogni semplice, ordinario diritto di cittadinanza, così come lo definiamo nel deprecato occidente popolato da noi “infedeli” è negato. Il principio del piacere sottomesso all’obbedienza coranica, le donne condannate all’autorità patriarcale; temo assai di più del personaggio di Paola Cortellesi nel suo recente, dimenticabile, retorico, film sull’Italia rionale del 1946, giorni del referendum monarchia-repubblica. Potrà sembrare un lusso “borghese” nuovamente “occidentale”, ma, almeno ai miei occhi, i doverosi lussi illuministici contano, sono irrinunciabili, insindacabili, perché “sotto il pavè c’è la spiaggia”.
I Surrealisti, non sembri una impropria riflessione sovrastrutturale mentre piovono le bombe israeliane su Gaza, hanno insegnato che perfino nelle circostanze più estreme si ha diritto al piacere. Penso al poeta Jacques Vaché, autore de “Les lettres de guerre”, dandy nume tutelare del movimento indicato come tale da André Breton, che durante la Grande guerra si mostrava in strada a Nantes con una divisa metà francese metà tedesca, le due parti cucite insieme, per provocazione. Immagino che se raccontassi la sua storia ai ragazzi e alle ragazze israeliani che la sera del 7 ottobre si trovavano al rave, se potessero ascoltarla comprenderebbero le mie parole, il mio racconto, il lusso “desiderante”.
Rabbrividisco ancora, laicamente, in nome di un conquistato sentire libertario, se non espressamente anarchico, constatando che per un ampio segmento “di sinistra”, perfino giovanile, i terroristi teocratici di Hamas possano paradossalmente rappresentare una forza di liberazione rivoluzionaria per la causa palestinese, un pensiero politico e attitudinale tossico. Assimilabile a chi anni addietro scendeva in piazza con le bandiere del criminale Milosevic; sia detto da chi, parlo proprio di me stesso, un tempo giovane militante “comunista”, aveva in camera il manifesto di Leila Khaled, giovane e bella fedain del Fronte popolare per la liberazione della Palestina; kefiah e kalashnikov imbracciato. Dimenticavo: soltanto dei miserabili, neonazisti o semplici analfabeti “civili”, miseri stolti, possono dare fuoco alle “pietre d’inciampo” nel mio quartiere romano, Monteverde Vecchio, che ricordano gli ebrei finiti nel gorgo della Shoah – e si usi questo termine, Shoah, e non cattolicamente, impropriamente l’accezione di Olocausto, così suggeriva lo scrittore Franco Fortini – forse gli stessi miserabili che su un muro del Gianicolo scrivevano tempo addietro “Anna Frank bugiarda”.
A differenza di altri che hanno fatto della tragedia del popolo palestinese un proprio feticcio presuntamente antagonistico, talvolta gli stessi che altrove provano simpatia per il criminale Putin e la sua Russia assente a ogni democrazia dal tempo di Kerenski, la mia compassione inquadra, piange tutti i poveri morti innocenti, i civili, i bambini, i vecchi, le donne spazzati via dalle bombe israeliane, così nella convinzione altrettanto chiara che il governo Netanyahu, con l’aver consentito una politica di occupazione ai coloni espressione della destra integralista israeliana, abbia molte inemendabili responsabilità per la recrudescenza di un conflitto che alcuni ritenevano comunque sopito, o comunque sotto traccia. I selfie delle giovani soldatesse israeliane, che mostrano la propria desiderabilità, l’eros, seppure non cancellano l’orrore, si innalzano come un manifesto politico, forse perfino situazionista davanti alla preistoria altrui.