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L'intervista

Le piazze contro Israele sono il frutto di una campagna iniziata trent'anni fa, dice Vidino

Mauro Zanon

Era il 1993 quando alcuni militanti di Hamas mettevano a punto la loro strategia del consenso: oggi, complici le reti di relazioni che il gruppo terroristico vanta negli Stati uniti e in Europa, se ne scorgono i risultati. Parla il direttore del programma sull’estremismo alla Georges Washington University

In alcuni dei più prestigiosi campus universitari, Princeton, Yale, Harvard, Stanford, e per le strade di diverse città degli Stati Uniti, le manifestazioni di odio anti ebraico e di sostegno nei confronti di Hamas, dopo il suo attacco terroristico contro Israele del 7 ottobre scorso, si sono moltiplicate. “Ma non dovremmo essere sorpresi. È il frutto di una campagna di influenza iniziata almeno trent’anni fa”, ha scritto sul Wall Street Journal Lorenzo Vidino, docente e direttore del programma sull’estremismo alla Georges Washington University ed esperto di islamismo in Europa e in America. È l’ottobre del 1993 quando l’Fbi mette sotto intercettazione una stanza d’albergo di Filadelfia, dove si sono riuniti una dozzina di membri  di Hamas, alcuni dei quali residenti negli Stati Uniti. Per diversi giorni, il gruppo terroristico discute su come sabotare gli accordi di pace di Oslo tra Israele e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp)  – che agiva in rappresentanza del popolo palestinese – e su come generare un sostegno verso Hamas tra i musulmani americani, nella classe politica e più in generale nella società, ma anche tra i non musulmani.

“Tre decenni dopo, questa strategia si è rivelata efficace”, dice al Foglio Vidino, prima di aggiungere: “Diversi fattori hanno prodotto ciò a cui stiamo assistendo in queste ultime settimane. L’identificazione di Israele con il ‘privilegio bianco’, l’antisemitismo vecchio stile, ma soprattutto le reti di Hamas negli Stati Uniti e in Europa. Hamas e le antenne dei Fratelli musulmani – ci si dimentica spesso che Hamas è il ramo palestinese della Fratellanza – hanno creato prima ancora del meeting di Filadelfia cui ho fatto riferimento sul Wsj un network di organizzazioni, di scuole, di moschee, di pubblicazioni, di gruppi di lobbying molto ben finanziati che hanno una strategia duplice, ossia sedurre due audience: le comunità musulmane occidentali e il resto della società, la parte non musulmana”, spiega al Foglio Vidino. “Per quanto riguarda le comunità musulmane, l’obiettivo è rendere la Palestina la questione centrale che definisce l’identità islamica. E ci stanno riuscendo anche in un paese come l’Inghilterra, dove la maggior parte dei musulmani vengono dal subcontinente indiano, ma dove la questione principale è la Palestina, non il Kashmir. E’ la grande forza dei Fratelli musulmani: hanno creato una narrativa potente, inquadrando il conflitto in termini religiosi per le comunità musulmane locali, etichettando gli israeliani come ‘infedeli’ ed evocando hadith sull’uccisione degli ebrei, e hanno un megafono molto importante”. Accanto ai musulmani aizzati all’odio anti ebraico da una strategia di lunga data, ci sono i cosiddetti “utili idioti occidentali”, l’altro uditorio, quello che in Francia viene chiamato “islamo-goscista”, che ha favorito questa operazione di influenza, compresi politici negli Stati Uniti e in Europa. L’esempio più fulgido è Jeremy Corbyn, l’ex leader del Labour, che ha chiamato Hamas e Hezbollah “our friends”. “Hamas si è rivelato un astuto attore politico internazionale che ha utilizzato l’occidente come punto di partenza per un’operazione di influenza rivolta alle opinioni pubbliche. L’organizzazione terroristica è riuscita a creare una serie di strutture legate tra loro, cooperazioni e alleanze con ambienti politici, accademici, mediatici, ma anche con il mondo del dialogo interculturale”, dice al Foglio Vidino. Il fascino di Hamas verso le sinistre europee americane “è molto simile”, secondo il direttore del programma sull’estremismo alla Georges Washington University, “anche se va detto che negli ultimi anni il mondo accademico americano è diventato molto più radicale di quello europeo”. “Proteste come quelle che abbiamo visto in certi campus statunitensi in Europa non ci sono state. C’è una netta differenza in termini di intensità, di virulenza. Negli Stati Uniti, ad aggravare la situazione c’è anche la diffusione di un discorso incentrato sulle teorie postcoloniali, di vittimismo razziale e post-imperialista”.