l'incontro

Di chi è la regia della visita di Zelensky in Israele

Micol Flammini

Il viaggio del presidente ucraino è stato rimandato ma non cancellato. Per Biden è molto importante e Netanyahu lo ha capito

Era tutto pronto, mancava soltanto lui, Volodymyr Zelensky, per le strade di Israele. Il suo viaggio avrebbe potuto includere anche una visita per i posti del dolore, per i kibbutz al confine con Gaza in cui ancora si cercano i dispersi. Di posti del dolore, Zelensky, ne ha visti tanti nella sua Ucraina ed è stato il primo, all’indomani del 7 ottobre, a dire che i massacri  che i suoi cittadini avevano subìto e quello a cui erano stati sottoposti gli israeliani era lo stesso: “Lo stesso male”. Il viaggio in Israele sarebbe quindi dovuto cadere a un mese esatto dalle violenze  di Hamas, anche se il presidente ucraino aveva già tentato una visita ufficiale, ma era stato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a parlare di problemi di sicurezza, quando in realtà stava ricevendo i leader di tutto il mondo. La cautela di Netanyahu, più che alla sicurezza, sembrava rispondere alla volontà di non fare un gesto sgradito alla Russia. Ma poi Vladimir Putin ha aperto le porte delle sue istituzioni ai terroristi di Hamas. Un membro del Likud, il partito di Netanyahu, ospite di Rt, ha detto a Mosca che Israele era disposto a fare di tutto per vederla perdere in Ucraina. Tutto si trasforma in fretta, più in fretta di quanto lo stesso primo ministro israeliano possa controllare e per gli Stati Uniti l’alleanza tra Kyiv e Gerusalemme è già un dato di fatto: è un fronte unico. Questo Zelensky lo aveva capito dall’inizio e il suo viaggio è saltato a causa delle troppe informazioni che erano trapelate attraverso la stampa, ma è stato rimandato e non cancellato. La visita ufficiale del presidente ucraino ha una regia ed è americana.

 

L’Amministrazione Biden ha fatto molto per portare il presidente ucraino in Israele sia per ragioni interne sia esterne. Il presidente americano, come Zelensky, vede le due guerre come fronte unito delle democrazie che combattono contro l’asse russo-iraniano. Ma la visita di Zelensky ha anche un impatto sulla politica  americana e serve a mostrare anche ai repubblicani che a Washington si oppongono al sostegno all’Ucraina che la battaglia è la stessa e non ha senso bloccare i fondi che sono destinati a Kyiv. Il rapporto tra Ucraina e Israele, all’inizio dell’invasione della Russia, aveva registrato diversi problemi: Zelensky aveva auspicato una mediazione israeliana, ma l’allora governo di Naftali Bennett non aveva voluto assumere il ruolo di mediatore. Israele si è limitato a fornire aiuti umanitari, la condanna della guerra è arrivata soltanto dopo le dimissioni di Bennett. Tra i funzionari israeliani c’era la percezione che la guerra in Ucraina non avesse nulla a che fare con Gerusalemme e quando l’esercito russo ha iniziato a usare i droni iraniani Shahed, per Israele è stato semplice dire che le armi servono al suo esercito e che non può permettersi che un frammento di arma israeliana finisca nelle mani della Russia e quindi dell’Iran. Era questa la ragione addotta a ogni richiesta di fornire il potente sistema antimissile Iron Dome alle città ucraine: non possiamo permettercelo. (m.fla)
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)