Il conflitto

A Gaza è il momento di accerchiare Hamas e di aiutare i civili

Micol Flammini e Giulia Pompili

Roma annuncia l’arrivo di una nave nella Striscia e a Parigi si discutono nuovi aiuti, mentre si tratta sugli ostaggi. Cosa può accettare Israele come compromesso tra le ore della pausa umanitaria e il tempo della guerra

Se si pensa all’estensione della Striscia di Gaza, una superficie di trecentosessanta chilometri quadrati, a stento si riesce a immaginare come quel territorio riesca a contenere tutto quello che sta accadendo. La parte settentrionale, ha detto uno dei portavoce dell’esercito israeliano, è una zona di feroci combattimenti e proprio da questa zona anche ieri è stato aperto un varco per permettere a circa quindicimila persone di spostarsi nella zona meridionale della Striscia. Sono passati tra i carri armati israeliani, reggendo bandiere bianche, erano talmente tanti che Tsahal ha lasciato il corridoio aperto – sono i soldati israeliani a garantirne la sicurezza – per cinque ore anziché quattro. In questo stretto pezzo di terra si combatte e si scappa, sotto le case, le moschee, gli ospedali c’è il mondo di Hamas, che aspetta i soldati israeliani per tendere delle imboscate. A sud, dove i civili dovrebbero stare più al sicuro, le condizioni dei centri umanitari sono di sovraffollamento e le operazioni dell’esercito israeliano per sradicare Hamas dalla Striscia, prima o poi, potrebbero spostarsi a sud. Israele ha detto di essere pronta a costituire una zona umanitaria speciale ad al Mawasi, vicino alla costa, dove non ci sono infrastrutture di Hamas e non lontano dal valico di Rafah, la porta di accesso per gli aiuti. Per gli alleati di Israele la questione dell’assistenza per i civili nella Striscia non può più essere rimandata e sarà questo l’argomento della conferenza internazionale convocata dal presidente francese Emmanuel Macron oggi a Parigi a margine del Paris Peace forum. Parteciperanno, oltre ai paesi occidentali, anche l’Egitto, la Giordania e i paesi arabi del Golfo, ma non ci sarà Israele. Macron ha parlato l’altro ieri con il primo ministro Netanyahu e ci sarà un’altra telefonata una volta terminata la conferenza sugli aiuti umanitari, ha fatto sapere l’Eliseo. Per l’Italia ci sarà il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. 


Del coordinamento umanitario internazionale fa parte anche la missione annunciata ieri – con un giorno di anticipo – dal ministro della Difesa italiano Guido Crosetto: la nave-ospedale della Marina italiana Vulcano è salpata per le acque di fronte a Gaza, e lo Stato maggiore sta lavorando anche a un possibile ospedale da campo sul territorio della Striscia: “Il primo passo di un’iniziativa in cui vogliamo essere i primi”, ha detto Crosetto. Ma l’annuncio di un coordinamento internazionale per gli aiuti umanitari a Gaza che inizia oggi è soprattutto un messaggio politico: è parte di una strategia di pressione nei confronti di Tel Aviv, perché per permettere a navi e aerei cargo di avvicinarsi il più possibile alla Striscia e procedere con la missione sarà necessario l’effettivo inizio di una pausa umanitaria. Ieri diversi media internazionali  hanno scritto che gli americani stanno negoziando con Israele e con il Qatar per ottenere il rilascio di un massimo di quindici ostaggi offrendo in cambio una pausa umanitaria di massimo tre giorni, che consentirebbe il passaggio degli aiuti umanitari. Anche all’ultima riunione dei ministri degli Esteri del G7, nel comunicato finale c’è un riferimento diretto alla conferenza umanitaria di Parigi di oggi e alla necessità di una pausa umanitaria per creare “corridoi per facilitare l’assistenza urgente, la circolazione dei civili e il rilascio degli ostaggi”. Finora Israele ha rifiutato ogni trattativa su un cessate il fuoco, e continua a farlo soprattutto adesso che sono iniziati i combattimenti dentro Gaza City e i soldati, senza combattere, rischierebbero di rimanere intrappolati. Cercano gli ostaggi, ma cercano anche nei tunnel Yahya Sinwar, il capo di Hamas che dovrebbe essere asserragliato nei sotterranei della Striscia. Questa non è una battaglia a tempo, ha detto ieri Benny Gantz, il leader di Unità nazionale che è entrato nel gabinetto di guerra e non rilascia spesso dichiarazioni, è una battaglia che ha un obiettivo: sradicare Hamas militarmente, sul suo lascito ideologico ci vorranno altre discussioni.  Gli Stati Uniti sono d’accordo con l’obiettivo, credono tuttavia che arriverà un momento in cui le tattiche di combattimento dovranno cambiare, che bisognerà contenere ogni danno. Vogliono che Israele si concentri su Hamas, non su Hezbollah o sull’Iran e  Washington  ha aumentato la sua  presenza militare per evitare che i nemici di Israele possano fare errori epocali. Nonostante questo, ieri il gruppo yemenita Ansar Allah ha detto di aver abbattuto un drone americano in volo di ricognizione. Da parte degli Stati Uniti non ci sono conferme.  

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