Bruxelles
Giorgetti preferisce il vecchio Patto di stabilità se il nuovo penalizza Roma
Alla riunione dell'Ecofin il ministro dell'Economia ha deciso di giocarsi la carta della minaccia di veto: meglio tornare alle regole pre-Covid se le richieste italiane non saranno accolte
Sul rettilineo finale della riforma del Patto di stabilità e crescita, messo di fronte a un compromesso sempre più tedesco, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha deciso di giocarsi la carta della minaccia del veto. “Tra dover accettare un Patto che non ci piace e tornare al vecchio Patto, l’Italia si prende il vecchio”, è il messaggio che ha fatto filtrare oggi Giorgetti, dopo la riunione dell’Ecofin sulla revisione della governance economica. La spagnola Nadia Calvino, che ha la presidenza di turno dell’Ecofin, si è mostrata ottimista sulla possibilità di raggiungere un’intesa a dicembre. “Resta molto lavoro da fare”, ma “come i pellegrini del cammino di Santiago iniziamo a vedere la cattedrale”, ha spiegato Calvino. Una riunione straordinaria dell’Ecofin sarà convocata a fine novembre – probabilmente il 23 – prima di un incontro considerato decisivo l’8 dicembre. Secondo Calvino, i ministri dei ventisette hanno accettato i principi generali presentati come base del compromesso (la “zona di atterraggio”, come viene chiamata a Bruxelles): più tempo per aggiustare i conti pubblici per i paesi che realizzano riforme e investimenti, ma con delle salvaguardie per garantire un’effettiva riduzione del debito verso il 60 per cento e per stare ben al di sotto dalla soglia massima del 3 per cento di deficit. Restano da concordare i numeri ed è la parte più complessa del negoziato, perché avranno un impatto diretto sull’aggiustamento che i singoli paesi dovranno fare ogni anno. Per Giorgetti, il negoziato sta andando nella direzione sbagliata. O almeno verso una conclusione che potrebbe provocare una rivolta della sua maggioranza a Roma.
La prima brutta notizia per l’Italia è che i numeri delle salvaguardie su deficit e debito saranno oggetto di un negoziato a due, tra Germania e Francia, con il rischio che gli altri siano messi di fronte al fatto compiuto. Christian Lindner e Bruno Le Maire si vedranno nei prossimi giorni a Berlino. “Stiamo lavorando a stretto contatto con la Germania per cercare di trovare un accordo franco-tedesco”, ha spiegato il francese. L’iniziativa a due è stata definita “estremamente utile” da Calvino, che è candidata alla presidenza della Banca europea degli investimenti e ha bisogno dei voti di Berlino e Parigi per battere la danese, Margrethe Vestager. Per gli italiani è fonte di irritazione. Il doppio ruolo di Calvino di mediatrice sul Patto di stabilità e candidata alla Bei “rende meno limpida e meno imparziale” la sua posizione di presidenre dell’Ecofin, denuncia una fonte. Ma per Giorgetti la brutta notizia non è solo la prospettiva di un accordo franco-tedesco alle spalle dell’Italia. Tutte le richieste che il ministro dell’Economia aveva avanzato all’Ecofin di ottobre di introdurre delle “golden rule” per scomputare dai calcoli di debito e deficit le spese per la difesa, per gli investimenti green e digitali, per il Pnrr e per i cofinanziamenti dell’Ue sono state bocciate. C’è consenso all’Ecofin solo sulla necessità di considerare la spesa per la difesa come un “fattore rilevante” (una circostanza attenuante) quando la Commissione deve decidere se aprire o meno una procedura per deficit eccessivo. Per gli altri tipi di investimenti, il testo di compromesso della presidenza spagnola è più vago. Di conseguenza, pur riconoscendo alcuni progressi, il Mef ha fatto sapere che per il momento l’Italia non può appoggiare l’attuale versione della “zona di atterraggio”.
Il negoziato all’Ecofin è stato tutto a porte chiuse. Durante la sessione pubblica della riunione, nessun ministro ha preso la parola. Secondo quanto riferito, Giorgetti avrebbe spiegato agli altri ministri che “l’Italia non è disponibile a firmare qualsiasi accordo” e che sottoscriverà unicamente impegni sui conti pubblici “che sa che potrà rispettare”. Le nuove regole in discussione potrebbero danneggiare l’Italia più di quelle vecchie. Agli occhi del titolare del Mef, alla fine il vecchio Patto di stabilità “non è il male assoluto”. Calvino ha negato che un ministro abbia sostenuto che il vecchio Patto sia meglio del compromesso sul tavolo. “Non ho sentito queste osservazioni da parte di nessuno stato membro”. Il che solleva un interrogativo: il messaggio di Giorgetti è indirizzato a Bruxelles, a Berlino oppure a Roma, dove Fratelli d’Italia e Lega sono adepti dei negoziati a colpi di veti e allergici alle regole fiscali dell’Ue?