La mozione
La deputata americana censurata, la spaccatura dei democratici e lo slogan che ha un unico significato
Il discorso di Rashida Tlaib in aula al Congresso, quello fuori e i 22 deputati del Partito democratico che non l’hanno sostenuta
Rashida Tlaib, deputata del Michigan del Partito democratico e unica americano-palestinese al Congresso, è stata sfiduciata dalla Camera americana per aver “promosso false narrazioni” sull’attacco terroristico di Hamas in Israele e per aver utilizzato lo slogan “dal fiume al mare” che indica una Palestina “libera” senza uno stato ebraico al suo fianco. 234 deputati hanno votato a favore della mozione di censura presentata dai repubblicani: 22 di questi sono democratici.
Nel dibattimento in aula prima della votazione, la Tlaib ha tenuto un discorso appassionato in cui ha espresso il suo dissenso nei confronti del governo israeliano di Benjamin Netanyahu, ha chiesto all’Amministrazione Biden di ascoltare gli americani che chiedono un cessate il fuoco immediato a Gaza e si è commossa quando ha detto: “Non mi sarei mai aspettata di doverlo ribadire, ma il popolo palestinese non è disposable”, non è usa e getta né sacrificabile. I deputati democratici che hanno parlato dopo di lei, e in particolare le sue alleate della Squad, l’ala più radicale del partito, hanno usato toni molto più incendiari nei confronti di Israele e molto più accusatori nei confronti del presidente Joe Biden di quelli utilizzati dalla Tlaib. Ma la mozione di censura non riguardava quel che è stato detto in aula che, nel caso della Tlaib, è stato l’esercizio legittimo di un’opposizione politica, bensì quello che è stato detto dopo l’attacco del 7 ottobre in molte piazze e campus e dalla stessa deputata. Lo slogan “dal fiume al mare” in particolare è in questi giorni riemerso molto forte – proiettato sui muri, scritto sui cartelloni, gridato nelle piazze – e non ha diversi significati o interpretazioni: ne ha uno solo e non include l’esistenza dello stato di Israele. C’è chi lo definisce “controverso” dandone un’interpretazione diversa, ma è un motto che nasce dal nazionalismo palestinese e che è comunemente utilizzato anche da Hamas, che ha come missione per l’appunto la cancellazione dello stato di Israele. E’ per questa ragione che i ventidue deputati democratici che hanno sostenuto la mozione di censura hanno deciso di non lasciare spazi a troppi equivoci, visto che è già piuttosto evidente come la pensano Tlaib e i suoi alleati.
Non è stata una decisione facile, ancor più perché a presentare la mozione è stata Marjorie Taylor Greene, la deputata ultratrumpiana che non riconosce nemmeno l’elezione di Biden e che pensa che il 6 gennaio sia stato un moto di resistenza, la meno indicata a impartire lezioni di civilità. Non è stata una decisione facile anche perché ha approfondito la spaccatura dentro al Partito democratico che finora era rimasta sotto controllo nonostante fosse noto che l’ala radicale al Congresso avesse digerito a forza la presidenza Biden e la sua ricandidatura. Non c’è bisogno di rotture insomma, ma l’approccio del governo in sostegno a Israele ha fatto saltare il fragile accordo di non belligeranza interna nel modo più doloroso possibile: non soltanto perché si sta parlando di una guerra in cui ci sono migliaia di morti e già questo basterebbe. Ma anche perché nel dibattimento in aula si è ricreato l’equivoco nel distinguere la libertà di espressione e il discorso d’odio, con parecchi tentativi di revisionismo su uno slogan che vuole dire una cosa sola e con la solita, oscena conclusione che le vittime palestinesi sono vittime, quelle israeliane un po’ se la sono cercata.