alleanze geopolitiche
L'India sta con Israele
Per il governo Modi è una questione d’identità, ma anche di interessi. La centralità del nuovo corridoio
Israele chiede all’India l’invio immediato di centomila lavoratori per rimpiazzare quelli palestinesi a cui, dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre, è stato sospeso il permesso di lavoro in Israele. La notizia, rimbalzata sui social media sia da fonti israeliane sia da fonti indiane, ha suscitato in ugual misura polemiche e apprezzamenti. Ma non si tratta, in realtà, di un evento straordinario: lo scorso maggio, difatti, Israele e New Delhi avevano firmato un accordo che autorizzava quarantaduemila permessi di lavoro ad altrettanti cittadini indiani. E, molto probabilmente, si tratta soltanto dell’inizio di una più stretta collaborazione tra i due paesi che va molto al di là della tradizionale e florida collaborazione in materia di Difesa e antiterrorismo.
Lo scorso 9 settembre la Casa Bianca ha pubblicato un memorandum d’intesa che annuncia la creazione di un “Corridoio economico India-medio oriente-Europa” (Imec). Lanciata a margine del Vertice del G20 ospitato dall’India, la nuova iniziativa mira a costruire “una maggiore connettività e integrazione economica tra Asia, Golfo arabico ed Europa”. Il protocollo d’intesa è stato firmato dall’India, da tre partner europei (Francia, Italia e Germania), dall’Unione europea e da due Stati del Golfo (Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti). Sebbene Israele non si sia impegnato formalmente nel MoU, è opinione diffusa che il paese sarà coinvolto in modo essenziale nel futuro del progetto. L’Imec integrerà le vie di trasporto stradali e marittime già esistenti, con l’obiettivo di aumentare la connettività e l’integrazione economica tra Asia ed Europa attraverso infrastrutture energetiche, ferrovie, cavi ad alta velocità e rotte di navigazione. Prevede la costruzione di imponenti linee ferroviarie transarabiche attraverso gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e la Giordania. Le due estremità del medio oriente saranno unite da rotte marittime che collegheranno Mumbai con Jebel Ali negli Emirati Arabi Uniti e Haifa in Israele con il Pireo in Grecia. Si tratta, secondo molti, della risposta indo-europea alla cinese Via della seta, un progetto di tipo economico-imperialistico che, dati alla mano, ha sprofondato nella trappola del debito quasi tutti i paesi che vi hanno incautamente aderito e che, sempre dati alla mano, poco o nulla ha contribuito allo sviluppo delle economie in questione. Il progetto dell’Imec ha immediatamente destato polemiche, soprattutto, guarda caso, in Turchia. “Non c’è corridoio senza la Turchia”, ha dichiarato Erdogan. Ricorrendo anche a velate minacce per bocca del solito “diplomatico che desidera l’anonimato”: “Questo progetto non può avere successo. In realtà, qualsiasi progetto che cerchi di aggirare la Turchia nella regione è pericoloso. Le grandi potenze stanno usando le potenze regionali l’una contro l’altra”. Erdogan, strenuo difensore del Pakistan e del suo burattinaio cinese, sostiene, come molti critici del progetto, che gli americani cerchino di manipolare l’India in chiave anti-russa e anti-cinese. Senza ricordarsi che l’India, in realtà, tradizionalmente, basa le sue alleanze sull’interesse nazionale e non su blocchi ideologici di intesa.
Dopo aver sperimentato politiche socialiste di autosufficienza e sostituzione delle importazioni, il pragmatismo della riforma economica degli anni Novanta ha costretto Delhi a cercare collegamenti di connettività con l’occidente, in particolare con i mercati europei. Ma gli sforzi indiani erano ostaggio dei capricci del vicino Pakistan. Islamabad ha sempre rifiutato le richieste indiane di ottenere un accesso geografico al medio oriente e all’Eurasia. Per aggirare l’ostacolo, l’India si era rivolta all’Iran. L’idea era che Delhi potesse utilizzare il porto iraniano di Chabahar come mezzo per entrare in Afghanistan. Da lì, il Corridoio internazionale di Trasporto nord-sud avrebbe potuto permettere all’India di raggiungere l’Asia centrale, la Russia e l’Europa. Il piano sembrava perfetto sulla carta, ma si è rivelato di fatto fallimentare a causa delle mutevoli condizioni geopolitiche nell’area.
L’Imec consente all’India di aggirare Islamabad e Teheran nella sua ricerca di connettività con il medio oriente e l’Europa. D’altra parte, il modo in cui Delhi guarda alla Penisola arabica è cambiato radicalmente negli ultimi anni. L’India sta lentamente abbandonando la sua tradizionale reticenza a coinvolgere la Penisola su questioni strategiche. Durante la Guerra fredda, le strette relazioni di Washington con il Pakistan per promuovere gli accordi di sicurezza in medio oriente causavano molta preoccupazione in India. Negli ultimi decenni però, la crescente partnership dell’India con gli Stati Uniti e le sempre più travagliate relazioni tra Washington e Islamabad hanno modificato il panorama regionale. In questo contesto, i legami di Delhi con gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita sono cresciuti e si sono rafforzati, così come i rapporti con Israele. L’accordo India-Israele-UAE-Usa è un altro esempio di questa tendenza emergente.
L’Imec, idealmente, dovrebbe promuovere anche la normalizzazione dei rapporti economici tra Israele e Arabia Saudita e aprire la strada a un formale riconoscimento di Israele. Non è ancora chiaro, al momento, come la guerra tra Israele e Hamas, scoppiata guarda caso in un momento potenzialmente storico per la geopolitica del medio oriente, inciderà sugli accordi che stavano per essere formalizzati. I sauditi, pur dolendosi pubblicamente per la situazione palestinese, non hanno a quanto pare alcuna intenzione, si dice nei circoli diplomatici, di far naufragare i negoziati con Tel Aviv. E l’India sta facendo la sua parte.
La rapidità con cui il governo indiano ha offerto il suo incondizionato sostegno a Israele, la dice lunga: per Delhi, le relazioni con Israele sono non solo amichevoli, ma addirittura vitali per i suoi interessi strategici a lungo termine. Nei giorni scorsi il premier Narendra Modi, nel bel mezzo del conflitto Israele-Hamas twittava: “Ho avuto una buona conversazione con mio fratello HH @MohamedBinZayed, presidente degli Emirati Arabi Uniti, sulla situazione dell’Asia occidentale. Condividiamo la profonda preoccupazione per il terrorismo, il deterioramento della situazione della sicurezza e la perdita di vite civili. Concordiamo sulla necessità di una rapida risoluzione della situazione umanitaria e di sicurezza e sul fatto che una pace, una sicurezza e una stabilità regionali durature sono nell’interesse di tutti”. Ribadendo l’impegno dei due paesi a rafforzare la cooperazione bilaterale in diversi settori nell’ambito del partenariato strategico globale India-UAE. Modi ha avuto anche conversazioni telefoniche con il re di Giordania e con il presidente egiziano Al Sisi.
D’altra parte, la stabilità in medio oriente è importante per l’India perché, oltre alle relazioni con le nazioni arabe, un gran numero di persone della diaspora indiana risiede e lavora nella regione e invia rimesse ai familiari. Inoltre, l’India, estremamente vulnerabile agli attacchi dei gruppi terroristici jihadisti, comprende le preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza. Tanto da astenersi dal votare, assieme ad altri 44 paesi, la risoluzione delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco proposta dalla Giordania perché non conteneva alcuna condanna dei brutali attacchi commessi da Hamas o menzione degli ostaggi israeliani detenuti dal gruppo terroristico. Suscitando reazioni scomposte tra l’opposizione, per il rovesciamento della tradizionale posizione indiana in favore dei diritti dei palestinesi. Rovesciamento che è stato così giustificato da Yojna Patel, vice rappresentante permanente dell’India presso le Nazioni Unite: “Gli attacchi di Hamas del 7 ottobre sono stati scioccanti e meritano una condanna... Il terrorismo è una malattia maligna che non conosce confini, nazionalità o razza e il mondo non dovrebbe accettare alcuna giustificazione per gli atti di terrorismo. Mettiamo da parte le differenze, uniamoci e adottiamo un approccio di tolleranza zero al terrorismo”.
I conservatori inglesi