Uccisi due volte

Le immagini di propaganda di Hamas e l'iconoclastia del dolore

Micol Flammini

Israele è costretto a mostrare le immagini dei terroristi del 7 ottobre per essere creduto e per far capire perché è iniziato tutto. Ma c'è chi accusa l'esercito israeliano di propaganda. La comunicazione, la pornografia del dolore e la comunicazione dello stato ebraico

Le immagini del pogrom di Hamas del 7 ottobre sono iniziate a circolare quasi all’istante. A poche ore di distanza dall’attacco o addirittura mentre l’attacco stava accadendo, era possibile vedere la violenza ostentata, l’umiliazione esibita come un trofeo, il sangue, la paura. Israele era costretta a guardare mentre tutto accadeva, e ancora i soldati dovevano raggiungere i kibbutz vicini alla Striscia di Gaza: prima di intervenire il paese intero vedeva lo strazio dei suoi cittadini quasi in diretta, esposto, rimbalzato sui social o sui canali telegram dei terroristi. E’ stato Hamas a farci vedere i corpi mutilati, mentre li stava mutilando, i ragazzi inseguiti, uccisi, rapiti. E’ stato Hamas a mostrarci per primo il corpo seminudo e legato di Shani Louk, la ragazza di nazionalità tedesco-israeliana che partecipava al rave e che è stata dichiarata morta dopo il ritrovamento di un frammento dell’osso del  cranio: sua madre l’aveva riconosciuta proprio da quelle immagini in cui si vedevano i suoi stivali, i suoi tatuaggi, i miliziani l’avevano caricata su un camioncino e uno di loro le teneva un piede sulla schiena. E’ stato Hamas a esibire la signora ottantenne, costretta a fare il segno di vittoria mentre tremante imbraccia un fucile con un terrorista al suo fianco.  Questo è stato il 7 ottobre, che  ha portato alla morte di 1.400 persone e alla cattura di oltre duecento ostaggi. E se sappiamo con così tanti dettagli cosa è accaduto quel giorno, lo sappiamo proprio per le immagini diffuse dai terroristi.  Dopo aver raccolto tutto il materiale, l’esercito israeliano ha messo insieme i filmati e le foto, ha aggiunto alcune riprese delle telecamere a circuito chiuso delle abitazioni che sono state colpite e ha realizzato un video che sta mostrando a un pubblico ristretto. Alcune di queste immagini le conosciamo già, le abbiamo viste mentre accadevano: il dolore degli altri in tempo reale. 


I terroristi sono entrati nel territorio israeliano con addosso delle telecamere, anche quel materiale ora fa parte del girato messo insieme dall’esercito. Tutta la violenza è stata ripresa per essere usata come propaganda, perché di quelle immagini i terroristi si sono vantati e sono state diffuse per umiliare un intero popolo, che invece non è abituato a esibire la sofferenza. Non lo ha mai fatto, la pornografia del dolore non appartiene alla cultura dello stato ebraico, e la decisione di mettere insieme tutti i filmati del 7 ottobre – quelli dei terroristi, quelli delle telecamere a circuito chiuso e anche quelli dei ragazzi inermi che tentavano di nascondersi dalla caccia dei miliziani armati – è stata presa perché la dimenticanza ha già offuscato presto tutto ciò che è accaduto quel giorno. Durante una proiezione ridotta del filmato, alla quale il Foglio ha assistito, un funzionario israeliano si è sentito in dovere di precisare: “E’ per questo che siamo in guerra”. 


L’attrice israeliana Gal Gadot ha cercato di mostrare il video a Los Angeles e a New York, le proiezioni sono sempre riservate a un pubblico ristretto, il filmato non circola su internet, è l’esercito a selezionare gli spettatori anche per ragioni di tutela mentale – le immagini mostrano una violenza sistematica, tortura, brutalità, odio, accanimento, sadismo, morte, mortificazione. Gadot aveva proposto la visione a un gruppo di persone del mondo dello spettacolo americano e il rifiuto non c’è stato per paura delle immagini – sarebbe stato un diniego legittimo – ma perché per qualcuno quelle immagini o addirittura quel dolore sono frutto della propaganda di Israele. La verità è che sì, sono video girati, per la maggior parte, proprio per fini propagandistici, ma non da Tsahal,  da Hamas per alimentare la spirale di violenza, per vantarsi, per ispirare altri gruppi terroristici a fare altrettanto: a colpire i civili israeliani. Definire queste immagini propaganda di Gerusalemme, vuol dire far del male a quei cittadini e alle loro famiglie ancora una volta, vuol dire rinnegare la natura mortifera del terrorismo di Hamas. 


Per i terroristi ogni immagine è propaganda, anche quando vengono mostrati gli ostaggi, come è accaduto ieri con Hannah Katzir, una donna di 77 anni, e  Yagil Yaakov, un ragazzino di 13, che potrebbero essere liberati dal Jihad islamico  per motivi sanitari. La cultura della comunicazione di Israele durante le guerre invece è stata spesso caratterizzata da un’iconoclastia del dolore, perché mostrare la morte – di civili e soldati – o la distruzione o lo strazio è considerato sbagliato: scoraggia, avvilisce, per questo non viene mai ostentato. L’intenzione di mostrare le immagini del 7 ottobre, collezionate dalla propaganda di Hamas, nasce da una necessità: ricordare cosa è successo quel giorno, qual è stata la natura della dichiarazione di guerra dei terroristi di Gaza. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)