manifestanti contro la legge di amnistia sfilano per le strade di Madrid (foto EPA)

in spagna

Quanto costerà a Sánchez la legge di amnistia. La strategia del Partito popolare

Guido De Franceschi

Il premier spera di usare l'accordo con i catalani come bromuro per sopirne eventuali rivolte. Mentre i popolari si auspicano di capitalizzare il malcontento di piazza per il "tradimento" dei socialisti

In vista del dibattito di investitura di domani e dopodomani che, salvo sorprese, condurrà per la terza volta il socialista Pedro Sánchez a capo del governo, va in scena il consueto contrapporsi delle due Spagne, quella rossa e quella azzurra. Come in un moto ondoso, talvolta il paese iberico si compatta, com’è successo, ad esempio, durante il tentativo di golpe del 1981 o nella lotta antiterrorista contro l’Eta basca. E talvolta, invece, si divide in due grandi tifoserie politiche, che spesso trascendono l’hic et nunc per riesumare differenze antiche, che si direbbero antropologiche. Questa volta la spaccatura, che è profonda, riguarda la legge di amnistia a favore delle centinaia di persone condannate per il “processo” che nel 2017 condusse a un referendum illegale di autodeterminazione e all’altrettanto illegale dichiarazione di indipendenza della Catalogna.

 

Sánchez, fino al giorno delle elezioni politiche del 23 luglio, si era dichiarato contrario a un siffatto provvedimento. Ma, all’indomani del voto, resosi conto che il leader del Partito popolare, Alberto Núñez Feijóo, non avrebbe avuto i numeri per governare, mentre a lui sarebbe bastato ottenere l’appoggio dei sette deputati di Junts, ovvero del partito dell’ex presidente regionale catalano Carles Puigdemont (che da sei anni vive da esule/latitante in Belgio per essere stato il frontman della fiammata indipendentista del 2017), ecco che Sánchez ha cambiato idea. E, dopo interminabili negoziazioni, ha raggiunto un accordo con Junts su una legge di amnistia. Per questo, nei giorni scorsi, il Partito popolare e i sovranisti di Vox hanno riempito le piazze di tutta la Spagna di centinaia di migliaia di manifestanti inferociti per il perdono (interessato) concesso dal “rosso” Sánchez a quelli che per la Spagna “azzurra” non sono altro che dei criminali golpisti.

 

L’amnistia si applicherà a tutti i livelli, partendo da Puigdemont per arrivare fino ai presidi che aprirono le porte delle scuole da loro dirette per l’installazione dei seggi per il referendum illegale. Questa legge ha sollevato aspre critiche non solo a destra. Sono insorti molti giuristi, perché il provvedimento – che è un’amnistia e non un indulto – mina l’impianto stesso dello stato spagnolo. Inoltre, anche se si configura come una norma una tantum e ad personam –  perché, se qualcuno ripercorresse in futuro le orme impresse nel 2017 nella storia della Spagna da Puigdemont e dagli altri indipendentisti, incorrerebbe in sanzioni penali simili a quelle in cui sono incorsi loro (non proprio le stesse perché nel frattempo le pene sono state ridotte) – la legge di amnistia assomiglia a una specie di incitamento a riprovarci. E sono insorti anche i giudici dopo che si erano resi conto che nell’accordo tra i socialisti e Junts era comparsa la parola “lawfare”, che indica l’uso dei sistemi e delle istituzioni giudiziarie per danneggiare o delegittimare un oppositore: un riferimento esplicito a una presunta persecuzione giudiziaria avrebbe rischiato di far passare in futuro i magistrati sul banco degli imputati, ma nella legge la parola lawfare non c’è. Non bastasse, anche l’Unione europea, sollecitata dai popolari spagnoli, ha dato le viste di voler dire la sua su questa legge di amnistia. 

 

A sinistra invece, a parte i due grandi vecchi socialisti Felipe González e Alfonso Guerra, che si sono espressi molto rumorosamente contro l’amnistia ma sono fuori dalla politica attiva, quasi nessuno ha criticato pubblicamente il capo, se si escludono i mugugni del presidente della Castiglia La Mancha, Emiliano García-Page, e di quello dell’Aragona, Javier Lambán. In ogni caso, Sánchez procede come un rullo compressore.
L’impressione, fin qui, è che Vox si stia agitando molto, ma non stia capitalizzando le proteste. Le piazze e i cuori dei manifestanti sembrano essere soprattutto nelle mani delle due anime del Partito popolare: quella moderata di Feijóo e quella più callejera della presidente della Regione di Madrid, Isabel Díaz Ayuso (spalleggiata da José María Aznar). In quelle piazze il Pp sta organizzando la sua campagna per le elezioni europee. Da parte sua, invece, Sánchez potrà contare su un governo numericamente solido. Resta da vedere se la legge di amnistia, che avrà comunque un percorso lungo e molto accidentato, agirà come il bromuro sul catalanismo, come spera Sánchez, o se sarà al contrario un combustibile che potrebbe innescare turbolenze continue anche nella maggioranza.

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