Spegnere il sorriso di Vivian Silver e l'idea della pace possibile
La più coraggiosa attivista israeliana per la pace con i palestinesi uccisa da Hamas
Ci sono voluti trentotto giorni ai volontari israeliani per riconoscere che era lei, che era tutto quello che restava del sorriso più riconoscibile, noto e amato, di qua e di là dal confine tra i kibbutz del Negev e Gaza. E se ci sono voluti trentotto giorni per riconoscere il sorriso di Vivian Silver tra le macerie del kibbutz di Be’eri, nel bunker in cui si era nascosta mentre mandava gli ultimi Whatsapp al figlio Yonatan a Tel Aviv, “sono dentro casa, è ora di smettere di scherzare e dirci addio”, non c’è altro da aggiungere per spiegare lo scempio inimmaginabile del 7 ottobre. Qualche giorno dopo un giornalista della Bbc aveva avuto il permesso di avvicinarsi alla zona. Un volontario li aveva dissuasi: “Nessuno studio di Hollywood può realizzare questo film. Non solo uccidono, ma mutilano, bruciano, tagliano. E’ impossibile da descrivere”. Della casa bruciata i soldati israeliani non avevano trovato pietra su pietra. Lei l’hanno identificata l’altra sera.
Del resto era così assurdo, impossibile, anche per suo figlio, lui pure attivista per la pace, e per le donne dell’organizzazione che aveva creato, Women Wage Peace, le donne portano la pace, pensare che quell’energia, quella determinazione, quella contagiosa simpatia per la causa della pace, della convivenza, della collaborazione tra israeliani e palestinesi, delle donne palestinesi e israeliane (aveva iniziato a battersi per la loro causa negli anni Settanta, nei kibbutz), potesse essere spenta in modo tanto brutale. “I nostri cuori sono distrutti”, si legge sull’account di Women Wage Peace. Pensavano che la causa del bene e della pace, l’ideale di una vita, potesse proteggere “la nostra amata amica” meglio di un Iron Dome dalla violenza e dalla guerra. Fino a lunedì. Grazie al segnale captato di un telefono a Gaza, tutti avevano pensato che fosse ancora viva, rapita, tra gli ostaggi.
È morta il 7 ottobre poco dopo le 7,54 (ultimo messaggio alla sorella “Qui c’è il caos, sento spari e urla”), Vivian Silver. Paladina e attivista della pace, che si era trasferita nel kibbutz di Be’eri vicino alla striscia di Gaza già nel 1990. Il luogo di una vicinanza possibile. Era stata direttrice del Negev institute for strategies of peace and development, ha lavorato a infiniti programmi per aiutare gli abitanti di Gaza, per i loro diritti di lavoratori. Nel 1999, l’anno prima della Seconda Intifada, aveva fondato il Centro arabo-ebraico per l’uguaglianza assieme alla femminista palestinese Amal Elsana Alh’jooj. “E’ quasi surreale pensare che qualcuno che ha dedicato tutta la sua vita a costruire la pace, a porre fine all’occupazione, a togliere l’assedio di Gaza, venga rapito da Hamas”, è il commento dei suoi collaboratori. Più che surreale, c’è qualcosa di capovolto, di distorto, di malamente simbolico in questa cancellazione della vita.
Vivian Silver era nata a Winnipeg 74 anni fa, Israele era appena sorto. Fin da ragazza attivista del North American Jewish Students Network, il primo viaggio in Israele a 19 anni, nel 1974 il suo primo kibbutz. Per costruire il sogno non solo di una patria ma di una casa comune. Pochi giorni prima di essere trucidata aveva accompagnato a Gerusalemme alcune donne palestinesi, perché fossero meglio curate. Era il volto più riconoscibile contro la guerra, quello che più di altri persino i combattenti palestinesi avrebbero dovuto preservare. Ora il brutale assassinio fa dire a molti israeliani che il suo lavoro e il suo impegno non aveva senso nemmeno prima. E ai suoi amici italiani, sul sito di Azione non violenta: “Non ho strumenti per capire quale messaggio ci sia dietro questo accanimento verso i pacifisti israeliani. Mi piacerebbe che qualcuno si esprimesse su questo a ragion veduta”. Anche le donne palestinesi si fanno la stessa domanda senza risposta. La psicologa Hyam Tannous: “Il 4 ottobre abbiamo avuto una manifestazione straordinaria: 3.000 donne. Siamo state raggiunte da 800 donne palestinesi intorno al Mar Morto ed eravamo sicure che stavamo costruendo la pace per le nostre comunità”. Aggiunge che Hamas è “un’organizzazione per la quale non ho mai avuto nessun rispetto. Ho capito che per gli ebrei questa era una riedizione dell’Olocausto. Mi dicevo: “Ma perché?”.
Tutto questo impegno, lavoro, per la pace e la convivenza si è rivoltato nel suo contrario, in una sconfitta, che forse è l’unica realtà di oggi. “Missing Vivian Silver” è il nome della pagina Facebook che i famigliari e gli amici hanno aperto dopo il 7 ottobre, per scambiarsi informazioni. E la sua morte, a guardare bene, è davvero una sparizione: il venire meno, l’apparente smentita di una possibilità che sia diversa dalla guerra. Perché alla guerra che si andava apparecchiando lei era contro: “Da questa guerra non nascerà un futuro migliore per la Striscia né per Israele”, ha detto ora suo figlio Yonatan, quasi parlando con l’ultima voce di sua madre. “Agli occhi degli stolti parve che morissero / la loro fine fu ritenuta una sciagura”, dice il Libro della Sapienza, “ma essi sono nella pace”. Ma il libro della Sapienza non fa parte della Bibbia degli ebrei.
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