l'intervista
“Israele rispetta il diritto internazionale”. Parla Kasher, l'autore del codice dell'esercito
I militari israeliani hanno un codice etico dal 1994 e rispettano l’idea della distinzione fra civili e terroristi, ci dice il filosofo dell’Università di Tel Aviv. Ma "Hamas combatte da case, ospedali, scuole e moschee: non c’è modo di fare diversamente questa guerra"
Il 26 dicembre 1994, l’esercito israeliano distribuì il suo primo “codice etico” a tutte le unità. L’idea di dare a Israele un codice militare etico era venuta al generale Ilan Biran ed era stata poi adottata dall’allora capo di stato maggiore, Ehud Barak. A redarre il testo Asa Kasher, il filosofo morale dell’Università di Tel Aviv e l’unico accademico a insegnare etica nei college militari. Fu Yitzhak Rabin, allora primo ministro, a volere Kasher alla testa del comitato.
“Israele ha il diritto all’autodifesa, il governo e l’esercito hanno il dovere dell’autodifesa, come tutti gli altri paesi” ci dice Kasher, professore emerito e fra i massimi filosofi dello stato ebraico. “A Gaza stiamo agendo perfettamente dentro i confini del diritto internazionale. Rispettiamo l’idea della distinzione fra civili e terroristi, il principio di proporzionalità e lo facciamo in modo di difendere i nostri cittadini e minimizzare i danni dell’altra parte”.
Israele a Gaza non vede solo dei terroristi, ma uno stato. “Consideriamo Gaza come uno stato, uno stato de facto, che non è riconosciuto, ma è come se stessimo combattendo uno stato che ha lanciato un attacco contro i nostri cittadini” continua Asa Kasher al Foglio. “La natura della loro attività è terroristica, ma è anche un gruppo che governa l’area. In Europa non capiscono la proporzionalità e paragonano le vittime di entrambe le parti oppure vedono le immagini dei bambini palestinesi che per loro sono la prova della sproporzionalità d’Israele. La proporzionalità è un principio della giusta guerra, viene da San Tommaso e significa che c’è una valutazione militare, che pianifico una certa attività, con le persone che non sono coinvolte che saranno ferite e uccise. La proporzionalità significa che i risultati che vogliamo ottenere superano gli effetti negativi. Ci sono casi in cui gli obiettivi sono giustificato, ma hanno un prezzo: minimizziamo allora i danni collaterali, ovvero se anche ci fosse una giustificazione militare, ovvero se l’obiettivo fosse davvero importante, facciamo del nostro meglio per minimizzare i danni collaterali o annulliamo l’operazione se troppo alti. Non vogliamo guerre, ma c’è una guerra che ci è stata dichiarata e dobbiamo agire, anche perché i nostri nemici sparano dalle aree popolate dai civili. Distribuiamo volantini, un milione e mezzo, per dire ai palestinesi del nord di evacuare e andare a sud. Entriamo nelle loro radio e tv e diciamo loro lo stesso: ‘C’è un corridoio umanitario, andate’. Carri armati israeliani sorvegliano centinaia di migliaia di palestinesi che si spostano. L’intelligence militare ora ci dice che Hamas è nell’ospedale, che ha una doppia funzione. Superficialmente è un ospedale, ma sotto, nei tunnel, ci sono i terroristi di Hamas. Stiamo così evacuando l’ospedale, medici, famiglie, malati, i macchinari etc… Alla fine rimarrà soltanto un sito militare e lo attaccheremo. Non abbiamo mai colpito un ospedale”.
Anche Daniel Statman, professore di filosofia all’Università di Haifa, ha fatto parte del comitato che lo ha recentemente revisionato il codice militare, il “Ruach Tzahal”. “Non ci sono obiettivi militari a Gaza che non siano in una area residenziale” dice Statman al Foglio. “Hamas combatte da case, ospedali, scuole e moschee. Non c’è modo di fare diversamente questa guerra. Una guerra in cui una parte rigetta del tutto le leggi della guerra e il diritto internazionale. Anche l’Isis combatteva così. Quanti civili sono stati uccisi nella guerra in Afghanistan? 70mila. Israele non prenderà lezioni morali dai paesi occidentali. E l’obiettivo della guerra afghana non era rimuovere un pericolo come quello che oggi affronta Israele”. Militarmente, Israele può sconfiggere Hamas, spiega Statman. “L’ostacolo è la pressione internazionale: se Israele commettesse errori gravi, gli alleati farebbero pressioni per fermarci. Israele ha interesse quindi a ridurre le vittime civili a Gaza. Lo spostamento della popolazione serve a questo. Ci sono civili nella zona di guerra. Ma se non possiamo neanche fare questo, cosa dovrebbe fare Israele? La resa. L’autodifesa diventerebbe una parola vuota. Hamas sopravviverebbe e sarebbe un disastro. Significherebbe che 1.200 morti sono stati niente. E tra 2-3 anni saremmo daccapo. L’unico modo per finirla è neutralizzare Hamas come potenza militare. Fare come con l’Isis, che non esiste più come esercito”.
Accademici da Oxford hanno scritto una lettera al premier inglese Sunak per protestare contro Israele e chiedere un cessato il fuoco immediato. “Affascinante, perché nessuna guerra tranne quella a Gaza spinge questi accademici a protestare” ci dice Statman. “Il 7 ottobre questi accademici non hanno scritto lettere aperte per sanzionare chi sostiene Hamas. Soltanto quando Israele ha risposto con la forza sono intervenuti. Doppio standard e cecità. Molti europei non capiscono che hanno un problema lo stesso problema con l’islamismo in Europa”. O come ha detto il presidente di Israele Isaac Herzog alla Welt, “se Israele non esiste più la prossima sarà l’Europa”.