Editoriali
Sánchez, lo spregiudicato, eletto premier per la terza volta
S’insedia il premier spagnolo. Ora dovrà governare tra i ricatti catalani
Oggi il Parlamento di Madrid ha confermato il socialista Pedro Sánchez a capo del governo spagnolo, con 179 voti a favore e 171 contrari. Il suo sarà un viaggio burrascoso: il Partito popolare di centrodestra e i sovranisti di Vox, che nei giorni scorsi hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone, promettono un’opposizione senza quartiere. Per avere una maggioranza Sánchez ha dovuto imbarcarsi in tre mesi e mezzo di negoziazioni con Junts, il partito dell’ex presidente regionale catalano Carles Puigdemont, che ha estorto ai socialisti, oltre a enormi vantaggi fiscali per la Catalogna e ad altre regalie, una controversa (eufemismo) legge di amnistia che cancellerà le pene inflitte a Puigdemont medesimo e ad altre trecento persone coinvolte nel 2017 nell’organizzazione del referendum illegale di autodeterminazione e poi nell’altrettanto illegale dichiarazione di indipendenza della Catalogna. Si tratta di una mossa molto spregiudicata, anche per gli standard dello spregiudicatissimo Sánchez. Per il governo portare avanti la legge di amnistia attraverso tutti i passaggi necessari per farla entrare in vigore sarà un calvario. E nel dibattito di investitura la portavoce di Junts, pur annunciando il suo “sì” a Sánchez, ha utilizzato tutto il resto del tempo a sua disposizione per minacciarlo di rappresaglie qualora non rispettasse gli accordi sull’amnistia. Detto questo, si sa che i governi spagnoli, una volta insediati, sono poi pressoché inamovibili: l’opposizione può rendere la vita impossibile al premier sperando nelle sue dimissioni causa paralisi dei lavori, ma non può sfiduciarlo, a meno di proporre una maggioranza alternativa (ipotesi che in questa legislatura è fuori discussione). I primi passi del nuovo governo avverranno sotto un cielo fosco. Ma intanto, già dato molte volte per morto (politicamente), l’highlander Sánchez è ancora in sella.