Una donna cammina accanto a manifesti con foto degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Hadera, Israele (Amir Levy/Getty Images) 

Storia della sorprendente tenuta della comunità internazionale sulla difesa di Israele (viva Mattarella!)

Claudio Cerasa

Almeno finora, i leader dei principali paesi occidentali hanno scelto di denunciare con coraggio la vera asimmetria che si trova di fronte agli occhi di tutti. Da una parte Israele, uno stato che difende il suo diritto di esistere. Dall’altra i terroristi

I media traballano, le istituzioni no. Avete presente la vignetta censurata la scorsa settimana dal Washington Post? Avete presente l’immagine di un leader di Hamas raffigurato con alcuni civili legati intorno al suo corpo? Avete presente il confine sottile che esiste tra politicamente corretto e collateralismo con i tagliagole? Lo sappiamo. Cercare buone notizie mentre si osserva il tragico conflitto in medio oriente è un’operazione complicata persino per incalliti ottimisti come noi. Eppure a due settimane dall’“allargamento” delle operazioni di Israele all’interno della Striscia di Gaza una notizia importante e non drammatica c’è. Ed è una notizia che riguarda la tenuta della comunità internazionale di fronte a un tema cruciale: non aderire al pensiero unico anti Israele.

 

Tranne alcune piccole sfumature, il fatto è chiaro. Almeno finora, i leader dei principali paesi occidentali – nonostante la macchina della propaganda attivata ventiquattro ore su ventiquattro dalle Nazioni Unite; macchina che giorno dopo giorno, aderendo all’agenda della propaganda di Hamas, ha cancellato il 7 ottobrehanno scelto di denunciare con coraggio la vera asimmetria che si trova di fronte agli occhi di tutti. Da una parte vi è uno stato che difende il suo diritto di esistere (Israele). Dall’altra ci sono i terroristi (si chiamano così, caro Corbyn) che difendono il loro diritto a combattere con tutta la forza possibile contro la stessa esistenza di Israele.

  

In guerra, lo sappiamo, anche le parole sono importanti e una parola, o meglio, un’espressione importante che segnala la volontà di non perdere di vista le coordinate minime del conflitto – chi è l’aggredito, chi è l’aggressore, chi è il terrorista, chi è che commette ogni giorno crimini contro l’umanità – è quella che si trova all’interno di un concetto riassumibile in due termini: “Scudi umani”.

 

Chi sceglie di considerare questi due termini come secondari, come non centrali, come negoziabili all’interno del dibattito pubblico, spesso tende a essere complice di un salto logico pericoloso: trasformare l’aggredito nell’aggressore rimuovendo progressivamente ciò che è successo il 7 ottobre. Chi invece, nonostante la tragedia di Gaza, cerca di rimanere sul punto, cerca cioè di non perdere di vista il fatto che i veri aguzzini dei civili palestinesi sono i terroristi di Hamas, tenta in tutti i modi di mettere di fronte agli occhi dell’opinione pubblica un dato di realtà: i morti sono tutti uguali, ma la mano di chi li uccide no. E un terrorista che trasforma gli ospedali in centri militari è un terrorista che ha scelto deliberatamente di trasformare i cittadini palestinesi che finge di rappresentare in tasselli del martirio.

 

Sentite cosa ha detto ieri il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale americano, John Kirby: “Hamas sta violando le regole della guerra avendo un centro di comando segreto presso l’ospedale al Shifa. Quello che Hamas sta facendo,  acquartierarsi in un ospedale, è una violazione del diritto di guerra”. Sentite cosa ha detto due giorni fa Sabrina Singh, uno dei volti della comunicazione del Pentagono: “Abbiamo informazioni secondo cui Hamas e il Jihad islamico palestinese (Jip) utilizzano alcuni ospedali nella Striscia di Gaza, compreso l’ospedale al Shifa, come un modo per nascondere e sostenere le loro operazioni militari e mantenere ostaggi. Hanno dei tunnel sotto questi ospedali. E così i membri di Hamas e PIJ gestiscono un nodo di comando e controllo dall’ospedale Al Shifa di Gaza City. Hanno armi immagazzinate lì e sono pronti a rispondere a un’operazione militare israeliana contro la struttura”. I media traballano, le istituzioni no. E dunque sì, nell’Unione europea, per esempio, c’è chi traccheggia, sul medio oriente, c’è chi cerca di essere equidistante, come Emmanuel Macron.

 
Ma alla fine dei conti, nei momenti che contano, le parole utilizzate sono quelle giuste. Lo si è visto quando è intervenuto, pochi giorni fa, il capo dello stato tedesco, Frank-Walter Steinmeier, quando ha esortato i connazionali a opporsi all’antisemitismo “ovunque si mostri”, evidenziando che “non vi è limite alla responsabilità” della Germania.

 

Lo si è visto, con ancora più forza se possibile, quando è intervenuto con coraggio il capo dello stato italiano, Sergio Mattarella, che il 10 novembre, durante un viaggio in Uzbekistan, ha messo il dito in un occhio ai professionisti della resa e del pacifismo farlocco, esprimendo “grande preoccupazione per la situazione umanitaria della popolazione, anche per il mancato rispetto dei diritti umani e in particolare della condizione delle donne” e ricordando che “le azioni militari devono tenere conto delle vittime civili, ma non si può mettere sullo stesso piano (rispetto all’azione di Israele, ndr) la deliberata azione di Hamas di colpire civili inermi”. Sintesi: non mettete sullo stesso piano le azioni di Israele e quelle dei terroristi. Vi sembra poco? Non lo è. Così come non è poco essere arrivati pochi giorni fa a una dichiarazione comune degli stati membri dell’Ue, che hanno condannato Hamas per aver utilizzato “ospedali e civili come scudi umani”. Era il 12 novembre. Sei giorni prima la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, provocando la reazione stizzita del presidente del Consiglio europeo Charles Michel più vicino all’agenda Onu, aveva espresso la stessa linea: “Hamas usa chiaramente i civili come scudi umani”. Non è tanto, ma non è poco.

 

E un ulteriore contributo alla battaglia per la verità, contro la narrazione jihadista, contro il megafono unico di HamasNews24, contro la propaganda dell’Onu, continua a offrirlo con coraggio l’Amministrazione americana, che pur chiedendo a gran voce a Israele di rispettare i diritti umani, di non tradire il diritto internazionale, di fare di tutto per rispettare i civili continua a denunciare l’imbroglio di chi tenta di mettere sullo stesso piano la guerra del terrore di Hamas e quella difensiva di Israele. Tre giorni fa, alla Casa Bianca, Matthew Miller, portavoce del Dipartimento di stato, nel corso di una conversazione ufficiale con alcuni giornalisti americani, ha messo in fila un ragionamento che sarebbe utile ascoltare ogni tanto anche nei talk-show italiani. “Noi – ha detto Miller – non vogliamo vedere gli ospedali oggetto di fuoco incrociato. Vogliamo vedere protetti i civili che trovano rifugio negli ospedali, i civili che vengono curati negli ospedali, compresi i bambini negli ospedali. Gli ospedali sono infrastrutture civili legittime e dovrebbero essere protette. Allo stesso tempo, direi che Hamas continua a utilizzare gli ospedali come sedi dei suoi centri di comando. Certo, non vogliamo vedere i civili coinvolti nel fuoco incrociato. Ma ci piacerebbe vedere Hamas liberare immediatamente gli ospedali che utilizza come posti di comando. Ci piacerebbe vedere tutte le persone che chiedono a Israele di adottare misure per proteggere gli ospedali chiedere a Hamas di sgomberare gli ospedali e di smettere di usare i civili come scudi umani. Ci piacerebbe vedere Hamas prendere parte delle riserve di carburante su cui si trova e usarle per rifornire gli ospedali nel nord di Gaza. Ci piacerebbe vedere che Hamas prendesse il carburante che Israele gli ha offerto ieri – e che ha rifiutato – per utilizzarlo all’ospedale di al Shifa”.

 

Avete presente l’immagine di un leader di Hamas raffigurato con una serie di civili legati intorno al suo corpo? Alcuni media internazionali non sono in grado di sostenere la forza di quell’immagine. Il fatto che invece buona parte della comunità internazionale lo sia è una notizia importante. Non permette di rallegraci ma ci permette di essere ottimisti rispetto alla capacità dei grandi del mondo di capire che raffigurare un leader di Hamas con una serie di civili legati intorno al suo corpo non è satira, non è offensivo ma è solo lo specchio di una realtà precisa. Una realtà dove da una parte vi è uno stato che difende il suo diritto di esistere (Israele). Mentre dall’altra ci sono i terroristi (si chiamano così, caro Corbyn) che difendono il loro diritto a combattere con tutta la forza possibile contro la stessa esistenza di Israele. Anche a costo di utilizzare il proprio popolo come scudo umano, come un tassello del martirio islamista. Perché, cari campioni dei talk, cari campioni della contestualizzazione, cari campioni della minimizzazione, “non si può mettere sullo stesso piano la deliberata azione di Hamas di colpire civili inermi”. Meno Onu, più Mattarella, grazie.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.