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Un thread

Già nel 2014 Hamas utilizzava l'ospedale Al Shifa come base militare e spostava i suoi sulle ambulanze

Dave Harden

“Era noto sia ai palestinesi sia agli israeliani”, scrive su X l’ex direttore della missione Usaid a Gaza. Come funziona il Diritto internazionale umanitario nelle strutture mediche

Pubblichiamo un thread su X dell’ex direttore della missione Usaid in Cisgiordania e Gaza, Dave Harden.
 


Ecco alcune osservazioni sull’operazione di Israele all’ospedale Al Shifa, a Gaza City.  Quando ero lì, già nel 2014 si sospettava/intuiva che Hamas utilizzasse il complesso dell’ospedale Al Shifa come centro di comando e base operativa. Non avevo prove dirette, ma era noto sia ai palestinesi che agli israeliani che facevano parte della mia rete. Inoltre già al tempo Hamas utilizzava le ambulanze per spostare i suoi.  Quest’informazione faceva affidamento sulle mie conversazioni con l’allora direttore del Comitato internazionale della Croce Rossa.  So anche, per esperienza diretta, che Hamas sparava ai civili gazawi innocenti che cercavano di scappare dagli scontri a fuoco. Nessuna delle mie esperienze passate può confermare ciò che stia effettivamente accadendo oggi, ma so cosa è successo. A questo proposito consiglio di leggere l’analisi della Croce Rossa sulla “protezione degli ospedali durante i conflitti armati”, in modo che possiate farvi la vostra idea. Secondo il diritto internazionale umanitario (Diu), le strutture e le unità sanitarie, compresi gli ospedali, non dovrebbero essere attaccate. Questa protezione si estende ai feriti e ai malati, nonché al personale medico e ai mezzi di trasporto. Questa regola prevede poche eccezioni. La protezione specifica delle strutture mediche è la regola generale. Pertanto, la protezione specifica a cui gli ospedali hanno diritto non cesserà a meno che questi non vengano utilizzati da una parte del conflitto per commettere, al di fuori delle loro funzioni umanitarie, un “atto dannoso per il nemico”.


Nel caso in cui ci fossero dubbi sul fatto che le unità mediche degli stabilimenti siano utilizzate per commettere un “atto dannoso per il nemico”, si deve presumere che non lo siano. L’espressione “atto dannoso per il nemico” non è definita dal diritto internazionale umanitario. Questo corpus normativo si limita a individuare alcuni atti espressamente riconosciuti come non dannosi per il nemico, come il porto o l’uso di un’arma leggera individuale per autodifesa o per la difesa di feriti e malati; la sorveglianza armata di una struttura medica o la presenza in una struttura medica di combattenti malati o feriti che non prendono più parte alle ostilità. Nonostante la mancanza di una definizione condivisa, la logica della perdita di protezione è chiara. Gli stabilimenti e le unità mediche godono di protezione per la loro funzione di assistenza ai feriti e ai malati. Quando vengono utilizzati per interferire direttamente o indirettamente nelle operazioni militari, causando così un danno al nemico, viene meno il motivo della loro specifica protezione.  O anche come rifugio per combattenti non malati. Questo avviene, ad esempio, se un ospedale viene utilizzato come base da cui lanciare un attacco; come punto di osservazione per trasmettere informazioni di valore militare; come deposito di armi; come centro di collegamento con le truppe combattenti. Cosa può essere considerato un “atto dannoso per il nemico”? Un atto dannoso per il nemico può rendere una struttura o un’unità medica passibile di attacco; può mettere in serio pericolo i feriti e i malati affidati alle sue cure; e può anche generare sfiducia nell’operato di strutture o unità mediche in altri casi, diminuendo così il valore protettivo del Diu in generale.

Inoltre, a seconda delle circostanze, alcuni atti dannosi per il nemico possono costituire una violazione degli obblighi precauzionali di protezione dei feriti e dei malati, nonché il personale sanitario e gli oggetti contro gli effetti di attacchi o di una violazione del divieto dell’utilizzo di scudi umani. Un esempio concreto potrebbe essere la collocazione di una struttura o di un’unità medica in prossimità di un obiettivo militare con l’intenzione di schermarla dalle operazioni militari del nemico. Infine, tale condotta può dare luogo ad altre violazioni del diritto internazionale umanitario o addirittura a crimini di guerra. Ad esempio, commettere atti dannosi per il nemico quando le strutture e le unità mediche espongono gli emblemi distintivi (Croce Rossa, Mezzaluna Rossa, Cristallo Rosso). Se si tratta di un uso improprio degli emblemi o del crimine di guerra di perfidia, se fatto per uccidere o ferire un combattente nemico. Prima di effettuare un attacco a una struttura o a un’unità medica che ha perso il suo status di protezione, deve essere dato un avvertimento. Quando  opportuno, questo dovrebbe includere un limite di tempo che deve essere rispettato prima che sia consentito un attacco. Lo scopo dell’avvertimento è quello di consentire a chi sta commettendo un “atto dannoso per il nemico” di porre fine a tale atto, o – se persiste – di consentire in ultima analisi l’evacuazione sicura dei feriti che non sono responsabili di tale condotta e che non dovrebbero diventarne vittime. Se tale avvertimento rimane inascoltato, il nemico non è più obbligato ad astenersi dall’interferire con il lavoro di uno stabilimento o di un’unità medica, o ad adottare misure positive per assisterlo nel suo lavoro. Anche in questo caso, le considerazioni umanitarie relative al benessere dei feriti e dei malati assistiti nella struttura non possono essere ignorate. Devono essere risparmiati e, per quanto possibile, devono essere adottate misure attive per la loro sicurezza. Ciò deriva dall’obbligo di rispettare e proteggere i feriti e i malati e dalle regole generali sulla condotta delle ostilità che si applicano agli attacchi contro qualsiasi obiettivo militare. In particolare, la parte attaccante rimane vincolata al principio di proporzionalità.


Il vantaggio militare che si può ottenere attaccando strutture o unità mediche che hanno perso lo status di protezione deve essere attentamente soppesato rispetto alle conseguenze umanitarie che possono derivare dai danni o dalla distruzione di tali strutture: un attacco di questo tipo potrebbe avere significativi effetti incidentali di secondo e terzo ordine sulla fornitura di assistenza sanitaria a breve, medio e lungo termine. Anche la parte in attacco rimane vincolata all’obbligo di prendere precauzioni durante l’attacco, in particolare per fare tutto il possibile per evitare o almeno ridurre al minimo i danni ai pazienti e al personale medico che potrebbero non avere nulla a che fare con questi atti e per i quali le conseguenze umanitarie sarebbero particolarmente gravi. Le seguenti misure devono essere adottate per ridurre al minimo l’impatto diretto e indiretto di un attacco di questo tipo sulla fornitura di servizi sanitari, ogni volta che ciò sia fattibile e operativamente rilevante: preparare un piano di emergenza per affrontare le interruzioni stimate dei servizi sanitari e ristabilire la piena erogazione il prima possibile. Considerare misure sia per l’evacuazione dei pazienti e del personale medico che per la loro corretta presa in carico. Interrompere l’attacco se la struttura non soddisfa più i criteri che portano alla perdita dello status di protezione (ad esempio, i combattenti sono fuggiti dalla struttura medica). Dopo l’attacco, facilitare o implementare misure per il rapido ripristino dei servizi sanitari (ad esempio, fornire supporto medico militare alla struttura medica civile).
 

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