L'hate speech online

Sui social antisemitismo e islamofobia sono sfuggiti di mano. Nessuna piattaforma esclusa

Priscilla Ruggiero

Rapporti e analisi mostrano come TikTok, Facebook, Instagram ma soprattutto X non siano in grado di tenere sotto controllo l'incitamento all'odio online. I bot di estrema destra e le teorie del complotto sulla "grande sostituzione" che per Musk sono "verità"

Dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, report e analisi mostrano come i social media non siano  in grado di tenere sotto controllo l’hate speech, l’incitamento all’odio online. Nelle prime settimane il social che ha suscitato più critiche è stato TikTok, di proprietà cinese,   tutt’oggi accusato, soprattutto negli Stati Uniti, di aver diffuso pochissimi contenuti riguardanti l’attacco   terroristico rispetto agli innumerevoli video dei bombardamenti  di Israele sulla Striscia di Gaza. Nella versione cinese di TikTok, Douyin, da oltre un mese la Cina non censura post e commenti antisemiti, diffondendo migliaia di contenuti anti Israele. La Repubblica popolare dal 7 ottobre non ha mai condannato esplicitamente Hamas utilizzando, come per l’Ucraina, la giustificazione della “neutralità”, ed è anche per questo motivo che i repubblicani al Congresso americano continuano a chiedere la chiusura di TikTok negli Stati Uniti. Se una delle prove, secondo i repubblicani, sarebbe il fatto che il numero di video   con l’hashtag #freepalestine, Palestina libera, è drammaticamente più alto di quelli con l’hashtag #standwithisrael,   la società cinese   ha detto che  “le ideologie d’odio, come l’antisemitismo, non sono   mai state consentite sulla piattaforma”, e che il suo algoritmo “non ha la capacità di schierarsi”. 

 

La realtà è che il clima d’odio su TikTok e Douyin non è  molto differente dalle altre piattaforme con sede negli Stati Uniti, anzi, le analisi degli ultimi giorni mostrano dati molto simili tra   loro: prendendo come esempio gli hashtag – nonostante offrano una visione parziale  – su Facebook    #freepalestine è stato  presente in più di 11 milioni di post, 39 volte di più di quelli con #standwithisrael, mentre su Instagram,    in 6 milioni di post, 26 volte in più dell’hashtag pro Israele.  Ma non sono gli hashtag in solidarietà con la Palestina o con Israele a destare più preoccupazione. Un’indagine della Cnn mostra come    bot di estrema destra abbiano sfruttato le tensioni legate al conflitto  per alimentare  l’antisemitismo negli Stati Uniti  avvalendosi dell’intelligenza artificiale. Gli esperti hanno registrato una “convergenza delle ideologie di Hamas e i gruppi suprematisti bianchi” che  hanno  utilizzato la tecnologia come un’arma, manipolando immagini e audio contro la comunità ebraica. Sul “dark web”  l’organizzazione Global Project Against Hate and Extremism  ha registrato un aumento dei contenuti antisemiti e islamofobici   di quasi il 500 per cento nelle 48 ore successive al 7 ottobre. Anche l’app di messaggistica Telegram non si è risparmiata:  da lì è partita il 7 ottobre  l’immagine   di un parapendio che scende con una bandiera palestinese e la frase: “Io sto con la Palestina”.  L’immagine faceva riferimento ai miliziani  di Hamas che hanno utilizzato i parapendii per entrare al  rave nel sud di Israele in cui  sono state uccise oltre  260 persone. L’immagine, secondo la società di sicurezza  ActiveFence, in  24 ore sarebbe  stata condivisa migliaia di volte su X, Instagram, Facebook e TikTok, sotto i cui post si sono moltiplicati commenti come  “avrebbero dovuto  ucciderne di più” e “uccidere più ebrei possibili”.

 

La piattaforma su cui però    si continua a registrare maggiore incitamento all’odio è X, l’ex Twitter. Già qualche settimana fa un report della società di fact-checking Newsguard riportava un enorme numero di account “verificati” da X e diventati “superdiffusori di disinformazione sulla guerra tra Hamas e Israele, aumentando la diffusione di notizie false   esibendo una spunta blu di verifica che in realtà non verifica nulla”. Martedì il  Centro per il contrasto all’odio digitale (Ccdh) ha pubblicato un’analisi  in cui mostra come X riesca (o non voglia)  rimuovere dalla sua piattaforma post che incitano  alla violenza  sia contro ebrei, sia contro musulmani e palestinesi. I ricercatori del Ccdh  hanno raccolto un totale di 200 post pubblicati su 101 account dopo l’attacco il 7 ottobre  che violano esplicitamente  le regole della piattaforma, post che definiscono i palestinesi di Gaza come “animali”, post che negano l’Olocausto o glorificano il nazismo, 200 post tutti segnalati dal Centro: una settimana dopo, 196 su duecento erano ancora lì, online, a raccogliere visualizzazioni. Secondo l’Anti-Defamation League, post con hashtag come “Israele nuovo nazismo” sono stati pubblicati su X quasi due milioni di volte, insieme a  “Hitler aveva ragione”, “Morte agli ebrei”, ma anche  “musulmani maiali” e “Uccidere i musulmani”.    X si è difesa pubblicando una nota in cui afferma di aver “perseguito oltre 325.000 contenuti” eppure il suo ceo, Elon Musk,   mercoledì ha commentato così un post antisemita sulla teoria del complotto secondo cui “le comunità ebraiche spingono (l’odio, ndr) contro i bianchi”: “You have said the actual truth”, hai detto la verità.

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