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Il commento

“Hamas vuole distruggere Israele”. Parola della Nobel Elfriede Jelinek

Giulio Meotti

Il gruppo terroristico è “come i nazisti durante l’invasione della Polonia”. È “massacro, stupro e tortura”, “una furia di distruzione incondizionata”

Forse ha ragione Richard Millet e il Nobel per la letteratura “è diventato l’equivalente del vecchio Premio Stalin dell’Unione Sovietica”. E quando si tratta di Israele, l’unico blasone che si ricordi a sua difesa è Saul Bellow. Nel 2012 con una poesia intitolata “Quel che va detto”, uscita  sui quotidiani tedeschi, spagnoli e italiani, Günter Grass spiegò che la potenza nucleare di Israele minacciava la fragile pace mondiale e che lo stato ebraico poteva cancellare il popolo iraniano. Eravamo al totale ribaltamento: non era più Teheran che minacciava Tel Aviv, ma Israele  minaccia al popolo iraniano. Durante la Seconda intifada dei kamikaze, il Nobel portoghese José Saramago scrisse: “Ramallah è la Auschwitz di oggi”. Per non parlare di Dario Fo, il giullare di Soccorso Rosso. Dopo il 7 ottobre, nessun Nobel  ha avuto il tempo di buttare giù qualche parola a sostegno di Israele. Ci ha pensato Elfriede Jelinek, che come Kraus si fregia di mettere a nudo le debolezze e i vizi  sotto le apparenze perfette del  paese dei valzer, del Danubio blu, delle operette e dei cavallini bianchi. 

Come Grass, Fo e Saramago, Jelinek è di sinistra: impegnata contro l’estrema destra nel suo paese e a favore dei migranti, membro del Partito comunista fino al 1991, autrice di attacchi contro Donald Trump e le leggi russe anti Lgbt. Ma a differenza dei tre colleghi, Jelinek ha condannato sul suo sito web i “fanatici” dell’“organizzazione terroristica Hamas” che vogliono “annientare” Israele, “l’unico stato democratico della regione”. “Umanità, potrebbe farci comodo” scrive Jelinek. “Dopo l’attacco di Hamas, non so più di cosa si tratti. Diventa un pezzo di carta su cui sono state scritte tante cose buone e belle e poi date alle fiamme”. Jelinek spiega che “infuriano i fanatici, per i quali la vita non ha alcun valore, e la morte è qualcosa per cui vale la pena lottare, attraverso la quale si può diventare martiri”. Paragona quanto succede alla Guerra dei Trent’anni, “che quasi spopolò l’Europa e iniziò con fronti chiari, come guerra di religione e con la defenestrazione (più un atterraggio morbido su un mucchio di letame) a Praga, finché alla fine solo i predoni vagarono per la terra deserta”. 


Hamas, spiega la scrittrice, “non appartiene alla civiltà”, “pianifica” e ha “sempre pianificato” l’annientamento di Israele, spiega la scrittrice austriaca 77enne. “Come i nazisti durante l’invasione della Polonia”: così Jelinek su Hamas, “massacro, stupro e tortura”, “una furia di distruzione incondizionata” che suggella il loro destino. Denuncia anche “la presa in ostaggio di palestinesi innocenti” da parte di Hamas “sulla loro striscia di terra sovrappopolata” e le manifestazioni in Europa contro gli attacchi israeliani. Quanto più i manifestanti “affermano la legittimità e la giustezza della loro azione gridando e ingiuriando, ovunque, anche qui, davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Vienna, tanto più si instaura il vuoto, un vuoto aspirante”, deplora l’autrice il cui padre fu perseguitato sotto il nazionalsocialismo a causa delle sue origini ebraiche. “Ogni scambio è ridotto in cenere. Vediamo solo il fumo nero che vola via e l’orrore che rimane”. Le macerie di Kfar Aza.
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.