Il caso
Putin ha bisogno di assassini e li scarcera. In galera (per 7 anni) ci manda Sasha e il suo pacifismo
Nella scala di valori della Russia del presidente un'attivista pacifista diventa più pericolosa dei killer, che invece ricevono la grazia
Cinque cartoncini del formato dei cartellini dei prezzi sono valsi alla disegnatrice pietroburghese Sasha Skochilenko sette anni di carcere. Senza condizionale, senza rinvio, senza attenuanti. Il crimine di Sasha consiste nell’aver sostituito cinque cartellini al supermercato Perekryostok di Pietroburgo con minimanifestini contro la guerra in Ucraina. Cinque rettangolini con scritti i numeri dei soldati russi morti, e dei civili ucraini uccisi dalle bombe russe. Al sesto, Sasha è stata fermata da una pensionata di 76 anni, che prima ha cercato la solidarietà della cassiera e della guardia e poi, di fronte alla loro indifferenza, ha chiamato la polizia. Da quel momento, Sasha è diventata una pericolosa criminale, che deve espiare il reato di “discredito dell’esercito per mezzo della diffusione di notizie palesemente false” con sette anni dietro le sbarre.
La giovane pietroburghese entra nel gulag proprio nel momento in cui la Russia sta discutendo due clamorose grazie: quella di Sergei Khadzhikurbanov, uno dei complici dell’omicidio di Anna Politkovskaya, condannato a 20 anni, e quella di Vladislav Kanyus, che doveva scontare 17 anni per aver torturato per tre ore e poi strangolato la sua ex fidanzata Vera Pekhteleva. Hanno ricevuto la grazia del presidente Vladimir Putin per aver “espiato con il sangue”, come dice il suo portavoce Dmitri Peskov, cioè per essere andati al fronte. Il sangue con il quale hanno espiato non è il loro, è quello degli ucraini che hanno ucciso. Ora sono liberi, sono eroi di guerra, e nessuno può più rinfacciare loro di essere stati degli assassini che hanno ucciso donne disarmate a sangue freddo.
Il caso di Sasha Skochilenko, nella sua surreale crudeltà, è emblematico di una Russia che ha bisogno di assassini, mentre vuole sbarazzarsi di giornaliste, disegnatrici e fidanzate ribelli. Nella nuova scala dei valori, una attivista Lgbtq dichiaratamente pacifista è più pericolosa di un killer. Lei deve entrare dentro, lui (loro) uscire. Lei deve essere un esempio da punire, loro il modello di bravi cittadini. Il processo a Sasha è stato talmente assurdo che perfino uno dei giudici si è dimesso per protesta, e perfino la vigile pensionata che l’ha consegnata alla polizia, di fronte alla sentenza, ha esclamato: “Ma sarebbe bastato darle delle frustate e mandarla a casa!”. Eppure, la condanna di una ragazza che corre il rischio di non uscire dal carcere – soffre di celiachia e problemi cardiaci – non è stata un incidente del sistema. È stata la riconferma delle sue nuove regole. E la vera domanda, per il futuro della Russia, è quella che Sasha ha rivolto a quelli che l’hanno torturata e condannata, non potendo non rendersi conto di quanto fosse assurdo e disumano: “Forse vi state consolando pensando che state solo facendo il vostro lavoro. Ma cosa farete quando l’ago della bilancia si sposterà nella direzione opposta?”.