
Quanto è profonda la frattura generazionale contro il vecchio Biden pro democrazia
È il compleanno del presidente più anziano della storia degli Stati Uniti. E c'è chi sostiene che 81 anni siano troppi per ricandidarsi alla Casa Bianca. La nuova generazione di elettori che voterà per il 2024 è separata da lui da più di sessant’anni di storia
È il compleanno di Joe Biden, il 46esimo presidente degli Stati Uniti e il più vecchio della storia del paese. Per alcuni non c’è nulla da festeggiare perché 81 anni sarebbero troppi per ricandidarsi alla Casa Bianca. Da molto tempo la destra trumpiana – i Maga – ridicolizza Biden investendo su video elettorali dove vengono mostrate le cadute del commander in chief sulle scale dell’Air Force One, o i momenti di abbiocco o confusa balbuzie durante comizi e interviste. Giocando la carta dell’età si dimenticano che anche il loro eroe, quel Donald J Trump che ancora non accetta la sconfitta del 2020, di anni ne ha compiuti 77 a giugno, e i suoi deliri non scarseggiano – e a differenza di Trump, Biden ironizza sulle proprie figuracce.
In un editoriale, il Wall Street Journal ha fatto sapere che “considerata l’età e l’ovvio declino di Biden, ricandidarsi è un atto di profondo egoismo”. Sembra il contrario, i biografi dicono che sia stata la first lady, Jill Biden, a convincerlo. Quando si è candidato i sondaggi dicevano che era l’unico uomo in grado di sconfiggere Trump, e quindi di provare a salvare la repubblica.
Ma l’età del presidente è un problema non solo per gli agguerriti populisti dell’alt right o per i giornali di Rupert Murdoch. Oltre che una scusa spinta dall’ideologia, c’è una frattura generazionale. Il 77 percento degli americani dice che è troppo vecchio, e la maggioranza degli under 35 è contrario a una ricandidatura di Biden. Non sono solo le citazioni dei film di John Wayne o i vecchi modi di dire a preoccupare la Gen Z e i millennial, ma i riferimenti al suo passato: quando cita senatori con cui ha lavorato, o gli incontri negli anni Settanta con Golda Meir, personaggi che rappresentano un’altra epoca politica. La nuova generazione di elettori che voterà per il 2024 è separata da Biden da più di sessant’anni di storia americana.
È vero che dopo gli anni di Barack Obama ci si è abituati a una certa energia, è vero che qualcuno con più vigore saprebbe gestire meglio una campagna elettorale, è vero che sarebbe bello vedere in azione le nuove leve che si sono distinte in questi anni – Gavin Newsom, Pete Buttigieg, Gretchen Whitmer – ma alla fine bisogna guardare i risultati. Mentre i repubblicani si prendevano a gomitate e si accoltellavano alle spalle, Biden è riuscito a tenere il suo partito unito, è riuscito a far passare un nuovo New Deal, nuove leggi sul controllo delle armi, nuovi investimenti nel green, e poi è riuscito a battere Trump nel 2020 e ad evitare un’ondata repubblicana alle midterm del 2022. Se usiamo il gergo che piace tanto a Trump, Biden è un vincente. È riuscito a non farsi prendere dall’estrema polarizzazione del paese e ad allargarsi al centro, a tranquillizzare i moderati e a non far imbizzarrire l’ala socialista. Ma le politiche domestiche sono solo una parte.
La forza del vecchio Joe la stiamo vedendo sullo scacchiere della geopolitica. L’incontro con Xi Jinping a San Francisco è solo l’ultima mossa diplomatica che è piaciuta ai mercati, oltre che un tentativo, fino a ora riuscito, per evitare che la Cina entri nell’orbita russa. Poi l’immediato supporto a Israele, l’impegno per la liberazione degli ostaggi rapiti da Hamas, la lotta interna all’antisemitismo, la risposta tempestiva all’invasione di Vladimir Putin nel febbraio del 2022, e poi un generale rafforzamento di un vincolo che unisce le democrazie contro la barbarie e che con Trump si stava sfaldando. Biden sta mostrando, anche se la cosa lo sta penalizzando nei sondaggi, che il mantra trumpiano America first è dannoso per tutti, per l’Europa, per i paesi aggrediti, per i popoli soggiogati dalle dittature. Il drammaturgo Jean Anouilh diceva che “si ha l’età dei propri soldi”. Possiamo dire che per la presidenza si ha l’età della propria politica estera.


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